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Codice da Vinci

Ultimo Aggiornamento: 23/05/2006 11:15
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23/05/2006 11:12



Il 17 ottobre 1909, di ritorno dagli Stati Uniti dove aveva tenuto con discreto successo alcune conferenze sulla Psicoanalisi, Freud scriveva a Jung, allora suo amico e confidente, oltre che discepolo: "il mistero del carattere di Leonardo da Vinci mi è divenuto improvvisamente trasparente…" tanto da annunciare il progetto d'utilizzare la nuova scienza per una ricerca biografica. Più tardi lamentava le difficoltà incontrate a causa della scarsità di notizie riguardanti la vita privata e soprattutto l'infanzia del grande genio.

Poco dopo, il 27 novembre dello stesso anno, Duchamp annota nel suo famoso diario: "… Lucien Métivet… nel numero di Le Rire della settimana scorsa ha svelato al suo pubblico i sorprendenti effetti, su certi capolavori, delle lastre di vetro usate per proteggerli. Un guardiano del Louvre pensa ormai di essere uscito di senno: ha visto infatti i suoi baffi da tricheco e la sua barbetta riflessi… sul celebre volto della Gioconda".

Apparentemente i due fatti non hanno molto in comune:
il primo porterà alla stesura del tormentato e contestato saggio Un ricordo d'infanzia di Leonardo da Vinci
il secondo forse suggerirà a Duchamp uno dei suoi "readymade" = (oggetto manufatto e dunque espressione di bellezza costruita e non trovata) la Gioconda coi baffi.

Anche la mitologia celtica conosce un uccello dalle valenze fortemente materne: la cornacchia. Un esercito di cornacchie, pronte all’occorrenza a trasformarsi in cavalieri, accompagna re Artù per esplicito volere della sorella Morgana, la fata: un ricordo più antico fa di quest’uccello l’inseparabile compagno del dio celtico Lug, trasformato dal folklore austriaco in Sant’Osvaldo.

L’idea di Freud che Leonardo abbia operato un transfert sostituendo con un nibbio la figura materna non è dunque del tutto estranea alla cutura europea, anche se certamente l’avvoltoio sarebbe stato un simbolo di più facile interpretazione.

Secondo Freud non possiamo parlare ne’ di vera e propria omosessualità, ne’ di nevrosi, ma di un caso particolarmente forte di sublimazione della propria libido, costretta fin dalla prima infanzia a dirottarsi verso la creazione artistica e la ricerca scientifica. All’interno di questa via, Freud riesce a distinguere due momenti particolarmente significativi: il primo è il periodo passato alla corte di Ludovico il Moro, in cui gli fu dato d’esprimere pienamente tutte le proprie capacità scientifiche ed artistiche, nonostante si fosse ufficialmente presentato a corte come suonatore di liuto, il secondo naturalmente è legato alla sconfitta ed al tramonto del suo grande mecenate, dopo il 1499.

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23/05/2006 11:15

Una cosa che Freud non sa o non nota è che lo sfondo del capolavoro è uno dei più tipici paesaggi italiani: la riva scoscesa e brumosa d’un fiume che è ancora quasi un torrente. Si tratta della riva dell’Adda, tante volte esplorata ed oggetto di studi nel “periodo milanese”, o quelle del meno noto affluente dell’Arno che nasce proprio fra le montagne di Vinci?

E se la donna è la madre l’idea è di “sistemarla” mentalmente nell’unico posto dove è stato felice o di dar corpo e colore ad un ricordo d’infanzia?

Impossibile rispondere.

Quel sorriso comunque non lascia più Leonardo, tanto da diventare appunto distintivo “leonardesco” e donare un nuovo impulso alla pittura, fino allora negletta e trascurata, animando della stessa espressione sant’Anna, la Madonna, Leda, San Giovanni e Bacco… i quali tra l’altro sembrano la stessa persona, con abiti diversi. Come giustamente osserva Muther del biblico mangiatore di locuste Leonardo ha fatto un Bacco, un piccolo Apollo che, con un enigmatico sorriso sulle labbra, incrociate le gambe, ci guarda con occhio seducente…

Forse sarebbe utile affiancarvi un’analisi di Duchamp che purtroppo Freud non ci ha lasciato.

Certo se Leonardo fugge il sesso Duchamp ne parla un po’ troppo sovente e quel che è strano, in modo altrettanto esoterico ed impreciso. A chi gli chiede se il “Nudo che scende le scale” sia maschio o femmina Duchamp risponde seccato: “un nudo è un nudo e basta: non è un corpo, ma un’astrazione!” ma all’astrazione per eccellenza, all’estatico sorriso di Monna Lisa, ha voluto appioppare baffi e barba…
perché?

Non si può fare a meno di pensare a ciò che Duchamp amava dire del readymade: “è una cosa molto più profonda dell’inconscio” il rapporto con la psicoanalisi è dunque cercato, ma non esplicato; Duchamp si confronta con la nuova scienza ed al tempo stesso si sottrae.

C’è una risposta che a Freud non piacerebbe affatto, ma che Duchamp ha ripetuto spesso: “l’artista non sa quello che fa. E io insisto su questo punto, perché agli artisti non piace che lo si dica”.

voi cosa ne pensate?

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