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La libertà di amare - story

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    00 01/11/2006 22:18







    La libertà di amare




    Parte prima




    Nella vita, soprattutto quando si è giovani, spesso si sogna l’arrivo di un principe.
    Regola che vale per la maggior parte delle ragazze romantiche e piene di speranze.
    Ebbene, nella mia vita qualcosa di simile è successo.
    Benché non si trattasse di un vero principe, lo notai subito tra la folla e il mio cuore ebbe un sussulto.
    In una serata di ricevimento, come tante altre, o meglio, per me parve simile a molte altre serate di festa,
    nonostante si stesse festeggiando l’unione avvenuta da breve tempo tra il barone Kidoin con la mia matrigna,
    curiosa di poter conoscere la nobiltà di tutto il mondo.
    Quella serata dedicata a lei, fu un regalo di nozze da parte di mio padre.
    Gli invitati vennero da ogni nazione, compresi americani, inglesi, tedeschi, scozzesi, indiani e italiani.
    L’abito che indossai era uno dei migliori che avevo, adatto all’occorrenza, eppure il disagio interiore mi privò di provare serenità e l’ansia si fece maggiore, tanto sperai la serata terminasse al più presto.
    Furono mio padre e la bella senegalese al suo fianco, i primi ad entrare nel salone principale.
    Lei, una donna scura di pelle con occhi e capelli di un profondo nero, sfilò con indosso un abito dorato, semplicemente perfetto per risaltare la sua bellezza.
    Appena apparse nel salone, tutte le damigelle presenti si incantarono a osservarla e furono molti i complimenti ricevuti per la sua straordinaria bellezza.
    Con garbo e gentilezza, lusingata dai commenti, ringraziò gli invitati, per poi prendere posto nella poltrona di velluto affianco a mio padre.
    Entrarono poi altri invitati stranieri, rispettosi nel porgere saluto prima di avvicinarsi ai coniugi, padroni di casa. Ed ecco, infine, giunse una carrozza proveniente dall’Italia. Su questa, viaggiava colui che mi avrebbe fatto provare strani sfarfallii allo stomaco.
    Non che fosse uno degli invitati, bensì l’accompagnatore della famiglia italiana, invitata quella sera.
    Appena fu possibile, scesero dalla carrozza due coppie. La prima, formata dal conte e dottore Villa con la moglie e, la seconda, formata dalla loro unica figlia assieme al semplice accompagnatore.
    Non si può dire che fossero gli invitati di maggior importanza, considerando che mai prima di allora, risposero affermativamente a un invito né da parte di paesi esteri, né da parte di nobili del proprio paese.
    Una famiglia modesta, abituata alla loro modesta villa di campagna nel sud della nazione italiana, ma la loro umiltà non li emarginava dal resto del mondo, poiché dotati di grande umanità e bontà.
    Abiti semplici, poco sgargianti, privi di sfarzosi gioielli e poche rifiniture di pizzi e merletti, eppur la loro eleganza fu appariscente, forse più di tanti altri, belli nell’estetica, ma privi di gusto da parte dei proprietari.
    Purtroppo l’apparenza si impose nella mentalità molto più di quanto si pensi e la maggior parte dei pregiudizi
    crebbero a causa di questo insulso ragionamento.
    Anche fossi stato di nobile casata, o il Re in persona, l’abito parlava di te e se non era appropriato, a breve potevi essere sulla bocca di tutti, giudicato come persona non considerevole.
    Questo però non intimorì la coppia di italiani che risultò sentirsi quasi a proprio agio, seppur in mezzo a gente con abiti sgargianti e pomposi.
    Pensai, osservandoli, che se anche io fossi nata nella loro famiglia, mi sarei sentita ugualmente felice e avrei camminato a testa alta. In effetti, di persone umili si era sempre a corto tra i nobili giapponesi come noi.
    E tra loro vidi lui, un giovane dai bellissimi lineamenti, nascosti da basette sottili che contornavano il volto, congiungendosi alla barba appena accennata sotto il mento, visibile anche tra naso e bocca.
    Occhi grandi e profondi, neri come petrolio, sopracciglia folte e scure, capelli corvini tenuti sciolti, che arrivavano ondulati a sfiorare le spalle, viso nobile e allungato, leggermente scarno e dalla pelle bianco latte.
    Robusto nel modo più assoluto, inoltre apparve poco alto, eppure qualcosa di affascinante in lui mi attirò.
    Non essendo mai stata amante di feste e ricevimenti, dove il contatto con gli altri invitati era quasi d’obbligo,
    uscii in quell’attimo dalla grande villa adornata a festa, per poter prendere una boccata d’aria.
    Il freddo punse le parti scoperte del mio corpo. Dentro me sapevo che non era giusto evitare quella festa, poiché l’occasione era davvero di grande importanza per mio padre.
    Un tuffo al cuore mi assalì nel vedere quel ragazzo, e mi tornò alla mente che quella festa mi sarebbe dovuta servire per trovare un buon partito e convolare presto a nozze.
    Convintosi che la mia età ormai stesse avanzando troppo velocemente e io stessi sprecando tempo, non mi sarebbe più stato possibile dormire sugli allori e vivere le mie giornate da sola. A volte captò che mi rinfacciasse di giocare ancora con le bambole. Il suo timore profondo lo portò a convincersi che mi stessi comportando ancora come una bambina, viziata e ipocrita. Ma lui non provò mai nemmeno a parlare con me, dopo la morte di mia madre. Non riuscimmo ad avere un rapporto più stretto, un rapporto solidale.
    Così crebbi nella certezza che un giorno mi sarei trovata inevitabilmente sola.
    Fino all’arrivo di mio fratello.
    E ora, fino all’arrivo di quel ragazzo, giunto da un lontano paese, di nobile aspetto, nonostante non avesse nessun titolo nobiliare che lo potesse contraddistinguere.
    Scese dalla carrozza vestito di un semplice eppur elegante abito azzurro, tenendo per mano una giovane dama dall’aspetto incantevole, vestita di un abito color arancione pallido, pieno di ricami e decori, nonostante la particolare semplicità della stoffa.
    Una famiglia proprio di un altro mondo, con un gusto impeccabile nella scelta degli abiti, semplici ma ottimamente lavorati e rifiniti.
    Guardai la giovane donna e il suo cavaliere camminare a passo sicuro verso la grande casata e, di lì a poco, scomparvero dietro l’enorme volta del portone. Nonostante la visione durò pochi istanti, non riuscii a muovermi tanta fu l’emozione che provai mentre il cuore parve impazzire nel petto.
    Sentii male al petto, ma gioii poiché mi sembrò di essere tornata a vivere miracolosamente, dieci anni dopo la scomparsa di mia madre, la baronessa.
    Tornai a provare emozioni, benché questa volta fu alquanto piacevole.
    Ricordai il dolore al petto, lo stesso provato quando appresi della notizia della nascita di mio fratello, che causò però la morte di nostra madre. Il dolore che provai durò pochi istanti, poiché il bambino appena nato mi fu lasciato tra le braccia, nudo, sporco, avvolto in un lenzuolo, urlante.
    Almeno però si capì godere di ottima salute.
    Dopo mia madre, ci fu un’altra donna nella vita di mio padre, che fece da madre a mio fratello e agli altri due figli maschi nati dalla loro unione. Poi, un giorno come tanti, venne a galla una tremenda realtà. La seconda moglie del barone fu accusata di adulterio e per questo cacciata dalla nostra dimora.
    Si scoprì che la donna, piena di dolore, si tolse la vita, dopo aver scritto una lunga lettera in cui dichiarò la sua innocenza e il suo amore profondo per mio padre. Ma non essere creduta dall’uomo della sua vita, la fece sentire inutile e la depressione tremenda la portò al suicidio.
    Il barone conobbe poi Tahina, colei che diventò la terza moglie e per cui diede il ricevimento in cui la mia vita cambiò radicalmente in poche ore.

    - Virginia, eravate qui!
    - Mota! – dissi, quando mi voltai e vidi quel bambino di dieci anni privo di affetto materno, che mi venne incontro. Lui, l’unico fratello di sangue.
    - Cosa ci fate fuori in questo momento? Gli ospiti sono al completo ormai e il barone richiede la vostra presenza al suo fianco.
    - Sì, Mota, lo so. Stavo solo prendendo un poco d’aria fresca. Mi mancava il respiro dentro, in mezzo a tutte quelle persone.
    - Capisco. Vi sentite a disagio. Siamo uguali, infondo, io e voi.
    Mota, un bambino introverso, privo di sorriso, intelligente e troppo maturato per la sua età. Di una bellezza rara, con dolci tratti del viso e due occhi profondi, color nocciola. Esile di corporatura eppur sano.
    Da poco aveva imparato a cavalcare e ormai si esercitava nell’arte della katana, una spada simbolo di forza e orgoglio per l’intero Giappone. Nello studio eccelleva, arrivando a studiare un programma che a me fu affidato a soli sedici anni e feci comunque fatica. Era il tesoro più grande che avessi.
    - Scusate sorella, non vorrei sembrarvi inopportuno, eppur la domanda nasce spontanea. Quali sono le intenzioni vostre questa sera?
    - Riguardo a cosa? - domandai basita.
    Mota era tutt’altro che socievole e mai si interessava agli altri. Da quando venne alla luce, fu lasciato totalmente alle cure della balia, che gli fece da madre, più che tutto il resto.
    Solo durante il fine settimana mio padre si univa a noi, durante i pasti, così da poter stare tutti assieme, oppure quando avevamo ospiti di riguardo.
    Mio fratello lo conoscevamo tutti pochissimo e mai ci eravamo scambiati un sorriso o una dolce parola di conforto, come tra fratello e sorella parrebbe normale.
    Quante volte avrei voluto chiamarlo anche solo fratellino! Ma poi, guardandolo negli occhi, scrutando la profondità del suo sguardo, mi faceva sentire insicura e, temendo non fosse adatto a lui, rinunciavo all’idea.
    Questo il motivo per cui entrambi ci sentivamo distanti.
    - Non siete obbligata a darmi una risposta se non gradite.
    - Ma… Mota, non posso certo rispondere a una domanda di cui non comprendo il significato.
    Si voltò verso di me e mi fissò per un istante, così abbassò la testa un istante e aggiunse :
    - Perdonatemi, sono stato importuno! L’intenzione mia era capire se avete intenzione di lasciare la villa ora che il barone ha trovato una nuova consorte.
    - Ma no! Non voglio lasciare questa casa. Perché dovrei?
    - Non chiedetelo a me. E’ il barone che insiste nel trovarvi un buon partito per convolare a nozze.
    - Capisco. Bene, il barone può dire ciò che vuole, ma solo a me spetta scegliere e devo prima essere sicura di cosa voglio per me. Non ti pare?
    - Temo sia proprio questo a preoccuparmi.
    - Come? Preoccuparti? Ma perché?
    - Per il fatto che siete mia sorella, suppongo.
    Rispose con una freddezza agghiacciante, ma cercai di non farci caso, poiché abituata ai suoi modi schivi.
    - Caro, cosa ti preoccupa? – chiesi con dolce tono.
    - Ebbene, la mia preoccupazione è limitata, poiché non sono certo accadrà. Se non sarete voi, però, credo sarà il barone padre a scegliere per voi l’adeguato futuro consorte.
    - Credi davvero? – chiesi, cominciando a preoccuparmi seriamente.
    - Questo è il mio pensiero, Virginia.
    - Se dovesse arrivare a questo, proverò a dissuaderlo, a fargli capire che per me è importante mantenere ancora la mia indipendenza.
    - Allor spero vi darà ascolto. – rispose il giovane uomo, non propriamente convinto.
    - Mota…
    - Ditemi.
    - Come ti è venuto alla mente tal pensiero? E come mai hai pensato di riferirmelo?
    Nessuna risposta udii da parte sua e mi convinsi che mai me ne avrebbe data una. Così, senza attendere oltre, dissi con tranquillità :
    - Ora credo sia meglio tornare dentro.
    - V’appoggio – disse, con consenso, eppur incupendosi.
    Non parlammo più, nonostante camminassimo vicini, fino al raggiungimento del salone principale, dove si dileguò tra la folla e lo persi di vista.
    Rimasi sulla soglia dell’ingresso al salone, incapace a farmi avanti, piena di ansietà nel trovarmi immersa tra tutta la gente presente.
    Intanto, mi passò accanto la damigella proveniente dall’Italia e, osservandola da vicino, notai meglio i suoi bellissimi boccoli ramati, lavorati per l’occasione, che ben si intonavano all’abito, assieme alle guance rosee e gli occhi cristallini. Parve fatta di ceramica, così bella e delicata.
    Avanzò leggera, accostandosi di più a me, fermandosi però a conversare con altri invitati di origine inglese, comunicando con loro in modo perfetto.
    Una figura maschile invece si accostò accanto a me, con un bicchiere di vino bianco in mano. Mi voltai e il cuore mi rimbalzò nel petto, sgranando gli occhi senza rendermi conto, nel riconoscere in lui l’accompagnatore italiano. Lui si voltò verso di me e arrossì nel vedere l’espressione stupita e incredula.
    - Salve – disse sommessamente, abbozzando un timido sorriso.
    Colta alla sprovvista per il saluto, non ricambiai a voce, bensì con un cenno del capo, prima di scomparire dalla sua vista, diretta al balcone a lato del salone.

    - Tesoro, cos’è accaduto? Pare siate in pena!
    Mi voltai all’istante nell’udire la voce provenire alle mie spalle e vidi mio padre venirmi incontro.
    - Padre. No, non temete, non v’è nulla di strano in me, credetemi.
    - Eppure anche a tua madre è parso fossi agitata. E’ a causa di questa festa forse?
    - Oh, no, padre! Cosa dite? – domandai, dispiaciuta che entrambi se ne fossero accorti.
    - Virginia, cara, se proprio non riuscirai a intrattenerti a lungo alla festa, non sarai motivo di biasimo, non temere e potrai tornare nelle tue stanze quando vorrai.
    - Padre, vi ringrazio, ma sono certa non vi sarà bisogno.
    - Bene, quand’è così, non insisterò oltre. Vieni con me ora, è mio desiderio presentarti alcuni ospiti con cui hai probabilmente molte cose in comune.
    Senza fiatare, sorridendo garbata, presi a braccetto il barone, con innata eleganza e rientrai nella grande sala al suo fianco. Il passo ci condusse sino al centro della stanza, dove ci arrestammo dinanzi a due giovani di bell’aspetto, provenienti dalla Grecia del nord. Mio padre fece le presentazioni e mi confidò poi, avvicinatosi al mio orecchio, che avrei potuto scegliere tra uno di loro, il cavaliere adatto per la festa.
    Avevano rispettivamente ventiquattro e ventisei anni. Erano ospiti speciali, giunti apposta per conoscermi.
    - Padre, vi ringrazio, ma non sono certa di voler… - non riuscii a terminare la frase che ci avvicinammo a un altro gruppo di stranieri. Una famiglia di americani, composta dal visconte, la consorte, il primogenito appena ventenne, la seconda figlia di quindici e il più piccolo di otto anni.
    Subito il ragazzo si inchinò nel presentarsi. Lo trovai attraente e molto elegante, coinvolgente anche nelle conversazioni di intrattenimento, ma apparve troppo intellettuale e posato, per questo mi venne presto a noia la sola sua compagnia. Dunque mi scusai e mi diressi al tavolo delle bevande, senza toccarne nessuna.
    Il barone, notando il mio comportamento da non lontano, si avvicinò e chiese :
    - Mia speranza questa sera è che tutto possa procedere per il verso giusto. Per te procede altrettanto?
    - Sì, certo, padre. Scusatemi per aver preso le distanze da quel giovane, ma ho avuto l’impressione di annoiarmi poco a poco. Kevin Stewart è affascinante e pieno di conversazioni intellettuali e profonde, eppure qualcosa in lui non mi attira. Forse la troppa serietà che impone al prossimo.
    - Comprendo bene, tesoro. Sono al corrente del tuo desiderio. Preferisci parlare con persone che hanno vissuto molte avventure e piene di progetti di grande impegno su cui parlare. Dico bene?
    - Padre, non vi starete burlando di me? – chiesi sommessamente, con lieve rossore in volto.
    Egli sorrise e mi venne spontaneo fargli notare :
    - Non pretendo molto se chiedo di divertirmi dato che mi trovo a una festa. Vi pare? Non conoscete proprio nessuno che possa suscitare maggiore interesse?
    - Ma certo, cara. Per te qualunque cosa. – rispose con un ghigno malizioso e ancora una volta lo presi a braccetto, avanzando elegantemente al suo fianco.
    Ci avvicinammo alla tavolata delle pietanze e mi presentò al conte e dottore Villa e consorte.
    Mi stupii di poterli finalmente conoscere come si conviene e sentii le gote accendersi nel proferire loro il mio saluto di accoglienza, presentandomi. Finalmente mi trovai innanzi a coloro per cui provai grande ammirazione, più di altri ospiti invitati alla festa.
    - Avete una figlia veramente graziosa, barone Kidoin. E’ possibile conoscerne l’età? – domandò la contessa.
    - Vi sono grato per la generosità dei complimenti contessa. Virginia potrà godere di diciannove anni questa primavera. – rispose fiero mio padre.
    - Pare proprio un angelo. – aggiunse il conte.
    - Vi ringrazio, mi sento lusingata. – risposi con garbo ai loro apprezzamenti.
    - Se non sono indiscreta, da dove nasce il nome che porta? Virginia. Delicato e grazioso, ma che molto si allontana dal classico nome orientale. Ha un significato preciso? – chiese la contessa, molto colpita dalla scelta compiuta dalla mia defunta madre.
    - Fu la mia prima moglie a deciderne il nome. Mima, la madre di Virginia e di Mota, i miei primi due figli, aveva una passione particolare per i nomi stranieri, soprattutto se riguardavano città di paesi esteri. Inizialmente, si era scelto di chiamarla Roma, come la grande capitale italiana, ma durante la gravidanza, Mima si era appassionata alla lettura, in particolare a un romanzo in cui la protagonista si chiamava Virginia e questo nome affascinò talmente mia moglie che decise per quest’ultimo.
    - Doveva essere una donna alquanto eccezionale. – commentò la contessa, nel sentire il racconto.
    - Era umile e generosa, molto garbata e di grande bontà. Amava le cose semplici e di valore affettivo più che materiale. Mi hanno sempre raccontato di lei che era molto bella, ma anche piuttosto ingenua. Io l’ho conosciuta poco, ma voi me la ricordate molto, contessa. – mi permisi di apostrofare.
    Il conte e la consorte rimasero sbalorditi per via delle mie parole. Mio padre sorrise compiaciuto e si allontanò augurando agli ospiti un’incantevole serata, lasciandomi in loro compagnia.
    - Che ragazza dolce sei, Virginia. Le tue parole hanno toccato il mio cuore. – mi confidò la contessa Villa.
    - E’ vero cara. Questa giovane e deliziosa signorina è proprio cortese e garbata. Inoltre, trovo sia dotata di grande bontà d’animo. – aggiunse il conte. – Di certo avrà preso queste ottime qualità dalla madre. Sicuramente la bellezza. – disse, osservandomi con ammirazione. – Ma forse gradisce le si dia del voi.
    - Non dovete viziarmi di complimenti, mi lusingate. Vi ringrazio. – arrossii ancora. – Però non fatevi scrupoli e datemi del tu per cortesia. Infondo potrei essere figlia vostra.
    Sorrisi loro, mentre si avvicinò a noi la bellissima dama dai capelli ramati, figlia dei conti Villa. Senza problemi, si presentò apertamente, priva di esitazione.
    - A voi buonasera, signorina. Lieta nel fare la conoscenza vostra. Sono Felicita Villa, unica figlia dei conti Villa. – disse, parlando un giapponese corretto e pulito.
    - A voi buonasera, contessina Felicita. E’ una gioia avervi qui questa sera. Il mio nome è Virginia, figlia del barone Kidoin. – risposi, parlandole in italiano e lei si sorprese.
    - Noto con piacere che siete ben istruita. Avete inoltre risposto con garbo e gentilezza, in una diversa lingua difficile da imparare. Quante altre lingue sapete? – mi chiese Felicita.
    - Conosco l’inglese, lo spagnolo, il tedesco, il greco, il polacco e la lingua indiana.
    - Davvero complimenti, milady. Non conosco nessuno così ben istruito come voi. Conoscete anche il francese? E quante tra quelle menzionate sapete parlare correttamente?
    - Il francese è una seconda lingua per me. Perdonate se non l’ho menzionata, ma la parlo meglio di ogni altra. Quelle su cui fatico maggiormente sono il polacco e il tedesco. La lingua indiana la sto imparando grazie alla seconda moglie di mio padre, che la conosce nei minimi dettagli.
    Sorrise compiaciuta e cominciammo così a dialogare cambiando spesso lingua a ogni discorso.
    La trovai simpatica e divertente, nonché matura, ma non poteva essere altrimenti, considerato che mi confidò di avere ormai raggiunto i ventotto anni. Appresi che insegnava le lingue straniere in una scuola pubblica a ragazzi dagli undici ai sedici anni, oltre alla matematica e la storia. Mi sorprese e la mia ammirazione per lei crebbe maggiormente, grazie anche al fatto che appariva bella e dinamica.
    - Ora che vi ho conosciuta, la festa mi pare meno noiosa. – rivelò con mia grande sorpresa.
    - Dite davvero? Questo pensiero è lo stesso mio.
    - Anche voi considerate noiose queste feste?
    - In effetti sì. Nonostante oggi non dovrei considerare la festa una noia, viste le circostanze. Mio padre vorrebbe che fossi felice nel giorno per lui più importante.
    - Posso immaginare. Siete contenta che vostro padre abbia trovato una moglie?
    - Non saprei cosa dire. Non lo trovo sbagliato. Penso che se lui è felice, null’altro ha importanza e tale cosa non è di mia competenza. Anche se in cuor mio vive la speranza che si tratti dell’ultima cerimonia di nozze, questa. Ne sarei sollevata.
    - Vi comprendo. – disse con delizioso sorriso. – Anche io me ne verrei a stancare dopo un po’.
    - Siete gentile. Ma ditemi, la contessa Villa è vostra madre naturale o una matrigna?
    - Oh, no! – rise – Grazie al cielo mio padre può sentirsi ancora orgoglioso di avere accanto mia madre, una donna come poche ne esistono al mondo. Forse l’unica che riesca a trovare un punto d’incontro con un testardo come lui. Credo infatti che se mia madre dovesse venire mai a mancare, lui non avrebbe il coraggio di risposarsi, nonostante il loro matrimonio è stato combinato. Sono ugualmente riusciti a innamorarsi reciprocamente l’uno dell’altra. Come sia stato possibile, non lo so.
    - Ma ciò è davvero bello! – risposi con sguardo sognante.
    - Anche io ne convengo. Devi sapere che a me hanno lasciato la libertà di scegliere da sola con chi desidero unirmi in matrimonio. Tanto che si stavano cominciando a preoccupare, perché non volevo saperne di nessuno fino allo scorso autunno. Ma alla fine…ho incontrato lui… - il suo sguardo vagò per la sala, sino a dirigersi verso la porta d’ingresso della stanza.
    Senza rendermene conto, anch’io vagai alla ricerca della figura indicata e notai sulla soglia la stessa persona che aveva accompagnato la famiglia Villa alla festa e che mi sorrise nel vedere la mi espressione stupefatta quando ci incontrammo restando in piedi entrambi sulla porta a fissare l’interno del salone.
    Il cuore prese a vivere con frenesia nel petto e cercai di farmi coraggio, per domandare a Felicita :
    - Scusate, voi conoscete il ragazzo fermo sulla soglia della porta d’ingresso al salone?
    - Intendete dire quello vestito di azzurro, con il bicchiere in mano, che osserva attorno spaesato?
    - Esatto, proprio lui. Lo conoscete?
    - Oh, certo. Lo conosco bene. E’ il mio cavaliere questa sera. Ha accettato, pur sapendo che, non essendo nobile di nascita, non ha il permesso a entrare nel salone per partecipare alle danze.
    - Non capisco. Non può partecipare, pur essendo assieme a voi conti?
    - Purtroppo l’invito era rivolto ai soli familiari e siamo solo tre in famiglia. Per questo avrei voluto rinunciare, invero. Non me la sentivo a partire per terre lontane e lasciare lui solo in Italia. Da sola a queste feste non mi diverto mai.
    - Comprendo.
    - Oh, no, scusatemi! Non era mia intenzione rivelare tale atteggiamento di superbia. L’unico mio pensiero è che le feste e i ricevimenti proprio non fanno al caso mio. Avvengono sempre delle arroganze tra nobili inferiori e nobili di alto livello. Solitamente rifiuto per questo motivo.
    - Perché vi preoccupate? Sono ben consapevole di cosa volete dire. Ciò che dite è anche pensiero mio. Non dovete scusarvi.
    - Vi ringrazio, Virginia.
    - Oh, niente. Ma avete detto che il vostro cavaliere si è offerto ugualmente ad accompagnarvi a questo ricevimento pur sapendo che non avrebbe potuto presenziare personalmente?
    - Esatto. Proprio per questo ora mi rincresce vederlo così spaesato e annoiato, appoggiato a una parete.
    - Sì, dispiace anche a me. Posso fare qualcosa per voi?
    - Purtroppo temo non ci sia nulla che si possa fare. Il regolamento parla chiaro. Solo chi invitato può partecipare a una festa nobile.
    - Questo è vero, ma talvolta le regole si possono cambiare. Non credete? Si possono fare eccezioni.
    - Non comprendo cosa abbiate in mente.
    - Spero vi vorrete fidare di me. Tornerò al più presto.
    Sorrisi e mi congedai, inoltrandomi tra la folla per raggiungere il barone, seduto al fianco delle consorte.


    ...Continua...


    [Modificato da =Ereandil= 09/11/2006 14.30]

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    00 01/11/2006 22:23




    Parte seconda





    - Padre… - mi inchinai con rispetto.
    - Cara, cosa vi porta al mio cospetto? – chiese, alzandosi per venirmi incontro.
    - Forse vi sembrerà inopportuno, ma ho un favore piuttosto importante per me da chiedervi. Posso osare?
    - Parla, ti ascolto.
    - Se fosse solo per una sera, solo per questa sera, dato che è per voi una festa di nota importanza, voi permetteste anche a una persona del popolo di partecipare alle danze, vi sarei eternamente debitrice.
    - Tesoro, sai bene quali sono le regole al riguardo. Non sarà mai possibile che gli permettano di entrare.
    - Questo è vero, ma solo fino a che voi non metterete una buona parola.
    - Dovrei concedere a una persona del popolo un permesso speciale? E’ questo che mi stai chiedendo?
    - Potete farlo, padre?
    - Virginia, mi rincresce, non posso esaudire questa tua assurda richiesta. Goditi la serata e non uscirtene più con simili bazzecole. Ciò che vuoi è impossibile.
    - Ma padre, basterebbe solo una vostra parola di consenso. Non è impossibile come dite!
    - Lo è ti dico! Ed è oltremodo inaccettabile che un popolano entri in un salone pieno di gente per bene! Non vorrai che io venga deriso, non è vero?
    - Padre, non dite così. Un atto di generosità e umiltà non è di certo motivo di derisione.
    - Virginia, basta così! Se non vuoi essere allontanata dalla festa, torna al tuo posto.
    - Padre…
    - Credo di essermi intrattenuto anche troppo. Mi sono spiegato?
    - Si, padre…come volete voi, padre. – dissi, con occhi gonfi di lacrime.
    - Cosa è accaduto, mio caro? – chiese Thaina a mio padre, quando egli tornò a sedersi al fianco di lei.
    - Ho solo ricevuto richieste inaccettabili.
    - Quali richieste? – insistette lei.
    - Mia figlia si è messa in testa di far partecipare un non nobile alla nostra festa!
    - Questa è una richiesta inaccettabile?
    - Esatto. Sarebbe un disonore per la nostra famiglia!
    - Temo di non capire. Un gesto di umiltà non trovo sia disonorevole.
    - Non starete dicendo seriamente, spero! Direi di finirla qui. Ho annunciato che non ammetterò tale mancanza di privilegio e intendo mantenere alto il mio onore!
    - Bene caro. Potete scusarmi alcuni minuti? Ho bisogno di raggiungere i miei alloggi.
    - Certo, potete. Ma non lasciatemi solo a lungo.
    - Come volete. Tornerò al più presto. Gradirei comunque un vostro cenno di saluto, quando raggiungerò le porte di uscita dal salone. Me lo concedete?
    - Non mancherò. Come mai lo chiedete?
    - Perché in tal modo potrò assicurarmi che i vostri occhi saranno rivolti solo a me.
    - Di questo non dovreste dubitarne mai.
    Il barone baciò la sua sposa, lasciandola poi andare, ed ella si diresse verso l’uscita dalla stanza, non prima di essermi venuta incontro, con un sorriso comprensivo.
    - Come mai non ti trovo serena questa sera?
    - Oh, Thaina. Perdonatemi, ma mi sento un poco a disagio.
    - Ne ero certa. Sono al corrente di quanto le feste non siano per te motivo di gioia. Penso che per questa festa però potremmo fare un’eccezione. Ti sentiresti meglio se accettassimo la tua proposta? – chiese.
    - In che modo? – domandai sorpresa.
    - Prova a indicarmi la persona che vorresti lasciar entrare nel salone e le darò il permesso di condividere lo stesso luogo con tutti gli altri invitati, senza farmi scoprire dal barone.
    - Non capisco. Come farete? – crebbe il mio stupore a ogni sua parola.
    - Abbiamo perso già abbastanza tempo. Puoi mostrarmi la persona non nobile che vuoi invitare? – mi domandò gentilmente.
    - Sì, certo. Ecco, si tratta di quel ragazzo in piedi appoggiato al muro d’ingresso, con l’abito azzurro e il bicchiere in mano e la faccia annoiata.
    - Molto bene. Seguimi.
    La seguii senza fiatare, fino a che non arrivammo all’ingresso del salone e Thaina si accostò a parlare con una delle guardie posizionate dinanzi alle porte.
    - Il barone mi riferisce che acconsente a lasciar entrare questo giovanotto. – disse Thaina, indicando la figura alla loro destra, sorridendogli.
    - Siete sicura? – domandò la guardia, storcendo il naso e aggrottando le sopracciglia.
    In quell’istante, senza aggiungere ulteriori parole, Thaina si voltò verso il barone con largo sorriso e questi, notandone il gesto, fece un cenno con la mano che, a distanza, parve di approvazione. La donna tornò quindi compiaciuta a voltarsi verso la guardia, dopo un cenno del capo rivolto al consorte.
    - Siete dunque convinto? – domandò orgogliosa del successo ottenuto.
    - Certamente, baronessa. Sarà fatto immediatamente.
    Ella mi guardò, strizzando l’occhio complice, per poi uscire dalla sala e dileguarsi nelle sue stanze.
    Restai un poco a osservare la sua figura allontanarsi, incredula, chiedendomi come avesse fatto a convincere l’irremovibile e orgoglioso barone.

    La guardia si avvicinò al giovane elegante con il bicchiere in mano. Piegò un braccio per portarne la mano in posizione orizzontale verso la fronte, unendo i tacchi degli stivali e osservando dritto innanzi a sé, dicendo :
    - Mi è stato riferito che il barone ha dato il suo consenso nel farvi partecipare alla festa. La vostra presenza è dunque gradita all’interno del salone.
    - Come dite? – chiese il giovane, con sguardo stralunato.
    Percepivo la sua incredulità, perciò mi avvicinai al suo cospetto, congedando la guardia che stava solo eseguendo gli ordini. Mi feci coraggio e annunciai :
    - A voi buonasera, sono la figlia del barone Kidoin. Prego, entrate, il barone stesso acconsente a lasciarvi partecipare alla sua festa.
    - Non sarà per caso uno scherzo? – confuso e paonazzo mi rivolse la sua domanda.
    Essere al centro dell’attenzione non dovette essere facile per lui, probabilmente per via della timidezza.
    Sorridendogli garbata, lo presi per mano, mentre il cuore tradiva il mio imbarazzo e lo trascinai verso Felicita. La ragazza rimase sbalordita nel vedermi giungere con accanto il suo cavaliere.
    - Virginia, ma come siete riuscita … ?
    - Per carità, niente domande! – replicai io sorridendole. – Mio padre rimane un mistero anche per me. Dovete pensare solo a godervi la serata, vista la fatica e il lungo viaggio fatti per giungere sino qui. Ebbene, io mi ritiro ora nelle mie stanze. A più tardi. – mi inchinai ai due, pronta a congedarmi.
    Prima che potessi avanzare oltre, Felicita mi abbracciò d’impulso e mi diede un tenerissimo bacio sulla guancia. Poi sorrise e si scusò per avermi rovinato il trucco, quindi prese a braccetto il suo cavaliere.
    Probabilmente quello era il suo modo di ringraziare, pensai. Per lei doveva significare molto quel mio gesto di generosità, seppur non fosse a conoscenza della motivazione reale che si celava.
    Mi diressi così verso le stanze della nuova consorte del barone e bussai alla porta della camera.
    - Prego, entrate. – rispose una voce dall’altra parte della porta, senza domandare chi potesse essere.
    - Thaina… - sommessamente proferii nell’entrare nella stanza e richiudere la porta alle mie spalle.
    - Virginia! Ne ero certa, ti stavo aspettando. – sorrise benevola.
    - Veramente… - non riuscii a esprimermi come avrei voluto.
    - Tranquilla, so che sei qui per chiedermi spiegazioni. Ero certa che non avresti chiesto nulla al barone, perché ti ha trattata rigidamente. Tutto però si è risolto, visto?
    - Non capisco. Come è stato possibile questo? Come lo avete convinto? Pareva così fermo nella sua decisione e pensavo non avrebbe accettato in nessun caso. – la osservai con sguardo interrogativo.
    - In realtà è ancora fermo nelle sue decisioni e non ha minimamente accettato la tua proposta. Eppure, i vecchi trucchi degli avi tornano sempre utili.
    - Come? Un trucco? – domandai incredula ancor più.
    - Esatto, un vecchio trucco che ti permette di ottenere quasi tutto. – sorrise, civettuola.
    - Non credo di capire.
    - Ebbene, ti svelerò il segreto. Ricordi il cenno che il barone mi ha rivolto prima che uscissi dal salone?
    - Sì…
    - Ecco, non si trattava di nessuna approvazione come ho voluto far credere alla guardia. Era solo un saluto che gli ho chiesto di pormi prima di abbandonare la sala.
    - Oh… ma… No, non ci credo! – risposi incapace di pensare a quanto potesse avere diversi punti di vista e una diversa importanza per ognuno, un solo gesto espresso.
    - Invece è proprio così. – mi rincuorò, sorridendo felice. – Il trucco mi riesce sempre piuttosto bene, specialmente con il barone!
    - Thaina… - non riuscii a parlare. Per la prima volta qualcuno mi appoggiava nell’esaudire un desiderio personale. Le lacrime raggiunsero i miei occhi.
    - Cara, ti sei commossa. Vedi, non ero dello stesso parere di tuo padre. Infondo, quel ragazzo è così ben vestito che nessuno si accorgerà mai del fatto che non è nobile. – mi sorrise con dolcezza.
    L’abbracciai forte e lei ricambiò, felice di avermi potuto fare un così grande piacere.
    Tornammo così nella grande sala e, prima di lasciarmi nuovamente agli ospiti, mi regalò un sorriso complice e gentile. Lo ricambiai grata e la lasciai tornare al fianco del barone.
    Felicita, che mi vide rientrare, mi venne subito incontro, assieme al suo cavaliere.
    - Virginia! – mi chiamò, nonostante io l’avessi già notata.
    - Ditemi, vi state divertendo? – chiesi, con lieve imbarazzo per la presenza del giovane.
    - Virginia, per carità, diteci come avete fatto a convincere vostro padre! E’ da non credersi…
    - In effetti…non è stato merito del barone. – cercai di spiegare – Bisognerebbe ringraziare la consorte.
    - Come, prego? – domandò stupefatta Felicita.
    - Oh, non temete, è una storia piuttosto lunga e incredibile. Ve la racconterò un giorno. – sorrisi con garbo e sollievo – Ora, se potete scusarmi, dovrei trovare un cavaliere anche io, per le danze.
    Mi congedai con il loro permesso e li lasciai, ancora una volta, confusi e felici.



    ...Continua...


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    00 01/11/2006 22:25



    Terza parte




    - Padre. – mi rivolsi avvicinandomi al barone.
    - Virginia. Cosa posso fare ora per te? Dobbiamo chiarire ancora il discorso precedente?
    - No, padre. Siete stato chiarissimo al riguardo. Ciò che mi preme chiedervi ora è quando pensate di dare il via alle danze e quale sarà il mio cavaliere.
    - Capisco. Ebbene, ormai le danze avranno inizio. Potrai scegliere da te il cavaliere questa sera. Consideralo un regalo, per vedere se riesco a farti sorridere un poco. Dunque, decidi tu chi preferisci tra uno dei ragazzi greci o il figlio dei visconti d’America.
    Guardai mio padre sbalordita. Non avrei potuto scegliere io stessa tra quelli menzionati, poiché nessuno di loro mi sarebbe andato bene, conscia del fatto che, con la mia scelta, mio padre avrebbe fatto pressioni affinché il cavaliere di una sera, potesse diventare mio consorte per il resto della vita.
    Dallo sguardo di mio padre nel presentarmi quei ragazzi, ebbi la certezza che si sarebbe messo il cuore in pace se avessi scelto il fratello più giovane tra i due greci, ma come avrei potuto tradire il mio cuore?
    Annuii alle parole del barone e mi congedai, tornando ad affacciarmi al balcone della terrazza a un lato della sala. Gli occhi mi si velarono di lacrime e guardai il cielo buio, privo di stelle, cercando di calmarmi, per ritrovare il ritmo regolare del respiro quasi affannoso.
    - Allora era vero!
    Mi voltai presa alla sprovvista e vidi Mota che avanzava lentamente verso di me, con volto cupo.
    - Mota, perdonami, ma non sono dell’umore giusto ora per…
    - Immagino, sorella!
    Mi meravigliai. Per la prima volta mi chiamò con il giusto nominativo. Una lieve sensazione piacevole mi attraversò il corpo. Un poco di tristezza, mista a felicità. Cercai comunque di non farlo notare, e provai a non guardarlo negli occhi mentre cercai risposta.
    - Non è un dramma, infondo, lo so, ma non sono in grado di fare una scelta. Tantomeno questa sera.
    - Concordo, non è un dramma questo. Ma se volete, potete impedirlo. Se la scelta di amare qualcuno con costrizione non vi soddisfa, non vi serve che partecipare alle danze e, di conseguenza, anche il barone si vedrà costretto a rinunciare ai suoi scopi.
    - So cosa vuoi dire, Mota. So che dovrei essere io a decidere il futuro che preferisco. Ma ormai non posso più tirarmi indietro. Se non sarà questa sera, sicuramente sarà la prossima. Non voglio più vivere nel terrore che scelga mio padre al posto mio. Questa sera mi ha dato la possibilità di scegliere. Non posso sprecarla. Sarà dura farlo, ma devo.
    - Quindi avete intenzione di scegliervi una cavaliere.
    - Sì, Mota. E’ l’unica soluzione. E, come vuole il barone, costui diverrà mio marito. C’è comunque una condizione. Se non posso essere io a scegliere il mio futuro, non darò alcuna soddisfazione a nostro padre, scegliendo chi, con i suoi gesti, mi ha fatto comprendere sia tra i suoi preferiti.
    - Non capisco…
    - Vedi, lui si aspetta che scelga come cavaliere, il minore dei due fratelli greci che ha invitato apposta. Sono entrambi molto belli, questo glielo concedo, quindi avrà pensato che potessi rimanere affascinata da almeno uno di loro. Ma involontariamente, mi ha dato una terza possibilità di scelta. La mia.
    - Virginia…ma siete sicura che in questo modo sarete felice? Comprendo volete vendicarvi di nostro padre e della sua imponenza, ma sarete voi a dover convivere con la vostra scelta. Come farete dopo?
    - Mota, caro, credimi è tutto a posto. Ormai ho preso la mia decisione. Non mi tirerò indietro, come forse il barone si aspetta. Questa sera ho capito che l’amore è dolce e puro e viene dal cuore. E’ inaspettato. Inafferrabile. Invincibile. Eppure il mio destino è questo e non sarò mai corrisposta da chi vorrei.
    - Temo proprio di non capire. Questo discorso è ineccepibile per me. Di chi parlate?
    Guardai mio fratello negli occhi e sorrisi. Mi fissò senza dir nulla, incapace di comprendere i miei pensieri. Intanto le lacrime mi rigavano il viso, ma non spensi il sorriso rivolto a lui, perché sarebbe stato motivo di sfogo e di debolezza, quella che mai avrebbe dovuto notare in me Mota. Ma lui mi abbracciò.
    Qualcosa di inaspettato fu quel gesto da parte sua, il primo segno di affetto, dopo dieci anni. Dentro me provai una miscela di sensazioni e mi inginocchiai così da poterlo abbracciare meglio. Piansi così tra le sue minute braccia che scaldavano il mio collo. Non credo di aver mai provato sensazione più dolce.
    Mota, nonostante il suo silenzio, mi fu sempre vicino e solo in quel momento mi resi conto del bene che ci legava profondamente.
    Mi calmai poco a poco e una musica soave si udì provenire dalla sala principale. Mi rialzai dunque e cercai di ricompormi, abbandonando l’abbraccio di mio fratello.
    - Devo rientrare, ora, Mota. Non posso indugiare oltre. – gli dissi dolcemente.
    - Virginia…Sorella, vi voglio bene! Vi sono vicino. – rispose con coraggio e immenso affetto.
    Un sorriso ancora gli rivolsi e un bacio soffiato, prima di sparire tra la folla, con molteplici sensazioni dentro, così forti da farmi quasi mancare il respiro.
    - Virginia! – mi arrestai, udendo la voce di Felicita alle spalle e mi voltai verso di lei.
    - Ditemi.. – le sorrisi malinconica.
    - Se c’è qualcosa che posso fare per voi, qualunque cosa, non dovete che chiederlo. Sarò lieta di potermi sdebitare del favore che mi avete fatto.
    - Se possibile, allora…perché non parliamo in modo più amichevole? Come fossimo sorelle. Non ti dispiace vero? – le chiesi.
    - Ma certo che no, Virginia! E’ un piacere per me sentirti più amichevole.
    - Me ne rallegro di cuore.
    - Sì, anche io. Ma non c’è altro che io possa fare?
    - No, Felicita. Solo devi promettermi che resterai sempre esattamente come sei. Questo è importante.
    - Virginia… sei la ragazza più buona e generosa che abbia mai avuto l’onore di conoscere. – mi abbracciò e quando si ritrasse, mi disse – Permettimi una cosa.
    - Certamente – le risposi con lieve rossore per il suo gesto affettuoso.
    - Mi piacerebbe molto che tu partecipassi alle danze da parte mia. Non so ballare il valzer e nemmeno ho mai avuto desiderio d’imparare. Ti dispiace ballarlo con il mio cavaliere? Lui è eccezionale.
    Non potei crederci. Fui quasi sul punto di svenire. Avrei dovuto partecipare alle danze con il ragazzo che mi colpì più di tutti quella sera. Questo, per ricambiare un favore. Non potei che gioirne.
    - Felicita, io… - cominciai a rispondere, con imbarazzo.
    - Virginia, dimmi. Non sei pratica a ballare il valzer nemmeno tu?
    - No, non è affatto questo! Solo, non so…
    - Virginia, credi, non te lo chiederei se per me non fosse davvero importante! – mi guardò supplicante. – Ormai sei al corrente che è la prima festa di nobili a cui partecipa Alehandro. Mi piacerebbe molto quindi che avesse un bel ricordo di questa serata. Lui poi sa ballare molto bene. Non mi piacerebbe costringerlo a restare senza dama, solo a causa mia. Si tratterà di un solo ballo, davvero. Nulla più.
    Riuscii a sentire in lei tutto l’amore che una donna può dare, intenso e forte come quello che bruciava dentro me e la guardai con ammirazione.
    - Va bene, ho capito. Se servirà a renderti felice, concederò un ballo al tuo cavaliere. – risposi sorridendo.
    Felicita mi abbracciò entusiasta per la mia risposta e sentii in quell’abbraccio tutta la sua gratitudine.
    In realtà però ero io a esserle davvero grata, poiché avrei ballato con il cavaliere dei miei sogni, di cui finalmente seppi il nome. Il cuore prese ritmo impazzito mentre, tra la folla, vidi avanzare Alehandro, imbarazzato e visibilmente teso.
    - Con permesso… - udii scandire dalla sua voce, porgendomi la mano con forte tremore.
    Appoggiai così la mia mano sul palmo della sua, sorridendo, e mi spinse leggermente verso sé.
    Non riuscendo a osservarlo negli occhi, con sguardo fuggiasco mi voltai appena a guardare Felicita che, a sua volta, indirizzava la sua attenzione verso di noi e notai la sua emozione, probabilmente perché il suo cavaliere poteva vantare di un bel ricordo sulla festa, grazie a me.
    La melodia del valzer prese ritmo e Alehandro mi strinse con maggiore decisione, guidandomi dolcemente sui suoi passi, come un vero damerino.
    L’agitazione provata fu talmente intensa, che la musica a confronto mi parve molto più lenta, nonostante nel mio cuore sperai che quel momento non giungesse mai al termine.
    Poco a poco cercai di farmi coraggio e, a metà delle danze, riuscii a incrociare i suoi occhi. Sentii avvampare tutto il calore del mio corpo verso il volto. Danzammo così vicini che potei facilmente specchiarmi nei suoi occhi neri e profondi. Anche in lui notai imbarazzo, e una luce strana in quello sguardo buio e travolgente, mentre le sue gote divennero sempre più rosee.
    - Chiedo scusa se vi fisso con insistenza. Vi sembrerò sfacciata. Perdonatemi. – dissi a voce fioca.
    - Non dovete preoccuparvi, fa parte del ballo. – rispose anch’egli con timidezza e voce pacata.
    - Siete.. molto bravo. – cercai di conversare. – Se posso domandare, dove avete imparato?
    - Potete osare, certo. – rispose con grande gentilezza. – Quella del ballo è una mia passione. Non ho avuto nessuno che mi insegnasse, ho solo avuto pazienza e costanza nell’esercitarmi da solo per intere giornate. Invero, volteggiare in saloni grandi e fastosi come questo mi piace. L’unica pecca sono gli invitati che vi presenziano nelle cerimonie particolari come accade questa sera.
    - Certo, comprendo… - dissi, affascinata dal racconto, tanto che cominciai ad ammirarlo ancor più come persona, che per la bellezza che mi aveva colpita.
    - Voi, invece, dove avete imparato? Se mi è consentito chiedervelo.. – azzardò.
    - Come? Io? Oh, beh… quando ero poco più che una fanciulla, mi educarono apposta per partecipare ai balli di corte, sotto la pressione del barone, mio padre. Erano esercizi duri e ripetitivi per una bambina così piccola e, insieme a questi esercizi, ero obbligata allo studio. Pile di libri ogni giorno.
    - Dite seriamente? Avete dovuto imparare così tante così in così poco tempo?
    - Precisamente. – sorrisi, nel notare la sua espressione sbalordita.
    - Ma non era troppo per voi? Eravate poco più di una fanciulla. – replicò, indignato.
    - Se la pensate così, non vi dico allora che man mano crescevo, le lezioni si facevano sempre più intense e pesanti. Grazie a questo però, ho potuto imparare le diverse lingua parlate nel mondo. Come la vostra.
    - Dunque la vostra esistenza è sempre parsa così piena di impegni.
    - Deduco di potermene vantare, ora. – sorrisi dolcemente.
    - Sarà, ma queste regole della nobiltà superano ogni mia concezione sulla vita.
    - Temo di non capire..
    - Vedete, ho sempre desiderato diventare un teologo, ma amo molto ascoltare storie appartenenti ai diversi ceti sociali. La vostra storia, ad esempio, mi colpisce molto e mi incuriosisce nello stesso tempo. E, visto che sto specializzandomi per divenire reporter, potrei scrivere di voi.
    Rimasi a fissarlo allibita, confusa e non seppi cosa pensare. Capii di aver catturato la sua attenzione, nonostante non fosse quel tipo di attenzione che avrei voluto ricevere da lui. Lo vidi dunque arrossire, comprendendo il mio sconcerto.
    - Scusate, forse sono stato impulsivo. Se vi ho creato disturbo, ovviamente, non mi permetterò mai di mettere per iscritto la vostra storia!
    Non risposi. Rimasi a pensare senza dire altro e, quasi senza accorgermi, poggiai la testa sul suo petto, continuando il nostro ballo, ormai giunto al termine. Non parlammo più fino a che la musica non si fermò.
    Alzai nuovamente lo sguardo e dissi :
    - Vi ringrazio. Ballate molto bene. Non dimenticherò mai questa emozione.
    Lo vidi arrossire e con un sorriso mi congedai. Nel cuore provavo una grande pena. Ormai, ancora un ultimo ballo e la festa si sarebbe conclusa.

    - Ho notato ti sei concessa a uno sconosciuto giovinotto. – mi redarguì il barone, avvicinandosi.
    - Padre… voi … - mi colse impreparata con quella frase di allerta. Avrei dovuto fare attenzione al tono usato come risposta.
    - Dimmi, è il cavaliere che ti piace?
    - Come dite? – chiesi preoccupata che avesse compreso.
    - Virginia, non amo ripetermi. Sarebbe gradita una risposta semplice e concisa.
    - No, padre. Non conosco il ragazzo con cui ho aperto le danze. Gli ho solo concesso un valzer.
    - Molto bene. In tal caso, sarai pronta a seguirmi ora. – la sua fu più una pretesa che una richiesta.
    - Certo padre. Sono cosciente del fatto che al termine della serata dovrete annunciare il mio fidanzamento con uno tra gli ospiti presenti.
    - Niente di più vero. Dunque, mi farai compagnia durante l’ultimo ballo in programma?
    - Sarò onorata padre. – dissi, priva di entusiasmo.
    Lo seguii e mi posizionai in piedi al fianco della sua poltrona, osservando l’intera sala dall’alto di tre gradini. Riuscii a vedere le figure di tutti gli invitati e la tensione mi soffocò di colpo. Di lì a poco, Felicita e Alehandro, avrebbero avuto privilegio di partecipare alla fine della mia gioventù per abbracciare la maturità troppo precocemente voluta da mio padre, per far parte di quella vita che avrei preferito non dover vivere.
    Per tutto il corpo provai l’amarezza della tensione, con il cuore impazzito e un tremore incessante. Chinai il capo, osservai gli orli dell’abito che toccavano a terra fastosi, congiunsi le mani stringendole una nell’altra e attesi in silenzio. Pochi istanti dopo, la musica cessò di riempire la sala con le sue note soavi.
    Chiusi gli occhi e strinsi maggiormente le mani.
    Mio padre si alzò, richiedendo attenzione. Presentò innanzitutto Thaina, accolta con un caloroso applauso e lei si inchinò con onore per poi riprendere il suo posto al fianco del barone. Infine fu il mio turno.
    - Questa sera sta ormai giungendo al suo ultimo atto. – ebbe inizio l’annuncio del barone. – E tutti voi, distinti ospiti, potrete ora assistere all’evento più significativo dell’intera serata. Signori e Signore, sono lieto di potervi annunciare il fidanzamento della mia primogenita unica figlia, Virginia, con un giovane rampollo tra le famiglie oggi presenti.
    Ci fu stupore e grande agitazione tra la folla, curiosi e ansiosi di conoscere la persona che mi avrebbe accompagnata lungo il difficile percorso del matrimonio.
    Avanzai per raggiungere i coniugi, per essere pubblicamente presentata a tutti. Mi sentii più tesa ancora, ma non potei abbassare lo sguardo, o sarei apparsa maleducata. Cercai un punto fisso tra la folla, impedendomi di distogliere lo sguardo e, portandomi in direzione dell’ingresso della sala, vidi Mota con lo sguardo corrucciato nell’assistere alla fine della mia felice vita.
    Vederlo così in pena per me, me riempì di rammarico, ma la sua presenza riuscì comunque a tranquillizzarmi e darmi un poco di conforto, tanto che riuscii ad abbozzare un sorriso, ovviamente diretto a lui.
    Mio padre avvicinò educatamente il suo viso al mio per parlarmi sommessamente.
    - Virginia, è giunto il momento. A te la scelta, cara.
    Annuii, quindi mi inchinai rivolta alla folla con sguardo deciso. Con lo sguardo vagai per la sala, in cerca del volto appartenente alla persona che avevo già scelto come riscatto. Incrociai però lo sguardo di Felicita, stupita di assistere al mio fidanzamento pubblico. Forse non aveva mai assistito a niente del genere, pensai, e mi fece molta tenerezza. Tornai così a volgere altrove lo sguardo e, facendomi coraggio, presi a dire :
    - Signori e Signore, vi ringrazio di cuore per averci allietati della vostra presenza. Sono commossa per la vostra generosità nell’essere stati volentieri partecipi alla festa del matrimonio del barone e aver così risposto al suo invito. Ed ora, avrete l’opportunità di assistere all’evento che segnerà per sempre la mia vita. – la voce mi si spezzò in gola, ma cercai di respirare profondamente. Dopo un attimo di silenzio, ripresi. – Ho il piacere di presentarvi la persona che da oggi diverrà il mio futuro consorte. Appartiene a una nobile casata e molti sono orgogliosi di lui per la sua intelligenza, oltre che per la straordinaria bellezza. – annunciai, ma senza provare vero sentimento. – Sono onorata quindi di divenire moglie del qui presente Kevin James Edward Walter.

    La cerimonia fu programmata per la successiva primavera, in onore del mio ventunesimo compleanno.
    Per l’occasione, Kevin mi permise di scegliere gli invitati la cui presenza mi avrebbe resa felice.
    Gliene fui grata e, ovviamente, estesi l’invito a Felicita e Alehandro, con cui avevo mantenuto i contatti anche a distanza di tempo. Accettando di partecipare alla mia cerimonia nuziale, capii che sarebbe stata l’ultima occasione per me di vederli.

    Ormai sono trascorsi tre anni da quando ho interrotto i rapporti epistolari con Felicita. Più precisamente, dal giorno in cui il cuore di Alehandro cessò di battere. Il dolore ha stravolto completamente la psicologia della mia più cara amica, tanto che è arrivata a chiudersi in un profondo mutismo, desiderosa di restare in completa solitudine. Si erano sposati, lei e Alehandro, solo pochi anni prima e ancora non avevano avuto figli. Ora che lui non c’è più, Felicita deve fare i conti con un destino ancora più crudele : crescere da sola il suo unico figlio, Alehandro, come il suo papà ormai vivo solo nei nostri ricordi.
    In questi anni di matrimonio io, invece, ho dato alla luce due bellissime bambine, dai nomi inglesi.
    Emma e Judy.
    Emma è la maggiore, ha otto anni e Judy è la minore, di sei anni. Inoltre, sono in attesa ora del terzo figlio che spero nasca maschio, sano e forte e che potrà in futuro diventare il migliore visconte al mondo.
    Kevin è sempre molto preso dai suoi compiti importanti. Soprattutto lo è stato dopo le nostre nozze.
    Solo sette anni dopo abbiamo concepito Emma e, nel frattempo, continuavo a subire le pressioni di mio padre, preoccupato che ancora non avevo un erede. Fu lui a intromettersi negli affari di mio marito e a concedergli un po’ di tempo da dedicarmi. Così, dopo sette anni, abbiamo cominciato a frequentarci realmente e Kevin mi confessò di trovarmi cambiata. Davanti a lui non c’era più la ragazzina insicura e timida che aveva sposato anni prima, bensì gli appariva davanti una donna, matura, fiera e decisa e di cui si era riscoperto molto attratto.
    Il suo amore per me non è più cessato dopo quel giorno, ed ecco perché ora mi ritrovo ad affrontare la terza gravidanza, mio malgrado.
    Io non amo mio marito. Il nostro matrimonio è stato imposto e l’amore non si può imporre.
    L’amore vero, quello intenso, quello che avrei voluto coltivare con l’uomo giusto al mio fianco, si è spento assieme ad Alehandro. Lui è il ricordo dell’ultimo periodo felice della mia vita, quando ancora ero libera di provare amore per qualcuno che aveva scelto il mio cuore, anche se non ho potuto scegliere razionalmente.
    Questo però non fa differenza.
    La libertà di scegliere con chi condividere la vita matrimoniale e la libertà di amare e donarsi alla persona del cuore, sono due cose diverse e la seconda è la più importante.
    Non smetterò mai di ringraziare quel giovane dal volto nobile che mi ha fatto capire cosa sia l’amore e quale importanza esso abbia per noi donne.
    Ora conosco due tipi diversi di amore : quello che una donna può dedicare a un uomo e quello di una madre che si dedica ai propri figli.
    Ma non saprò mai quanto è bello e profondo l’amore di una moglie che dedica le proprie cure al marito.
    Infondo, con Alehandro, è morta anche una parte del mio cuore. Ma ho i miei figli, la gioia più grande della mia vita e solo loro avranno il mio pieno amore e a loro dedicherò la mia esistenza.
    Questa è la mia ultima libertà di scegliere chi amare e io scelgo di dedicarmi a ciò che è davvero mio.




    FINE




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