00 24/07/2006 23:54
cavoli! sei ben informata!!! [SM=g27828]
a proposito... guarda che ho trovato gironzolando in internet... è una fan fict scritta con il punto di vista del tuo caaro Gacktuccio [SM=g27823] prova un pò a vedere che dice ( è scritta bene, sembrano proprio delle confessioni, ma dubito che Gackt e Mana siano realmente così... [SM=g27829] [SM=g27828] ) leggi leggi!!!



Anche se forse abbiamo avuto più lacrime
che sorrisi,
~ti sarò vicino~
e questo
è ciò che farò per te

Solo tu, sii sempre vicina a me e non cambiare
perché fin da quando ti ho tenuta stretta nelle mie braccia
ho avuto questo presentimento

[Kimi no tame ni dekiru koto – Gackt ]


Non sono mai stato particolarmente coraggioso, è vero. Il coraggio non è sicuramente una mia virtù, eppure ne ho tante. Molti mi invidierebbero, e molti lo fanno, ne sono sicuro.
Ma non mi era successo di provarne così tanta, di paura, come quella volta. Come in quel pomeriggio..
Quel pomeriggio è stato probabilmente uno dei peggiori di tutta la mia vita. Me lo ricordo così bene, ma non riesco a parlarne senza fare confusione. Non riesco ad essere razionale.
Ero dannatamente preoccupato, pensando di doverlo vedere quel giorno stesso. Di dovergli parlare. Magari spiegare la mia decisione. O peggio, di essere costretto ad ignorarlo.
Non ho mai voluto farlo soffrire, eppure in sua presenza non sono mai stato capace di comportarmi come dovrei. Diventavo presuntuoso e stronzo, quando mi guardava con sui bellissimi occhi da principessa.
O forse le uniche volte in cui ero me stesso, presuntuoso e stronzo, era in sua presenza.

Dovevo firmare le ultime carte, per ufficializzare tutto. Dopo aver firmato sarei diventato ufficialmente un uomo libero. Libero di iniziare una propria carriera solista (che poi, devo dire, è andata molto meglio di quanto pensavo. Ma questo è un altro paio di maniche. Ne parlerò, magari, più avanti. In ogni caso devo dire che, dal punto di vista professionale, è stata un’ottima decisione). Avrei dovuto essere felice, finalmente, dopo troppo tempo passato a fare cose che non mi soddisfacevano del tutto, e invece non riuscivo a mangiare nulla. Il cibo mi faceva venire semplicemente una grandissima nausea, ecco tutto. La colazione, mi sembra inutile aggiungere, che la mattina non la feci. Fissai per una ventina di minuti il piatto pieno, poi mi alzai e mi vestii. Come se dovessi morire quel giorno stesso, come se il domani fosse solamente una stupida invenzione completamente senza senso.
Il tragitto che separava il mio allora modesto appartamento dalla casa discografica era brevissimo, meno di una ventina di minuti di cammino, ma decisi in ogni caso di prendere il taxi. Speravo, credo, che prima arrivavo, prima sarei uscito, e prima mi sarei liberato dell’ansia. Ero molto nervoso.
Arrivato, mi diressi senza pensarci due volte verso lo studio dove avrei dovuto firmare i documenti e liberarmi. Non mi voltai neanche per un secondo, e spedito contavo i passi che mi separavano dalla porta. Quattro, tre, due, uno..
Speravo di non incontrarlo. Di non doverlo incontrare. Il solo pensiero mi faceva star davvero male, e continuavo ad affrettare il passo, praticamente correvo. Il più veloce possibile. Il più lontano da lui.

Ma il destino, il tuo filo rosso del destino, non ha voluto che andasse a finire così. Che me ne andassi via da lì, senza salutare. E così mi ritrovai in sala d’attesa. Cinque minuti passati a fissare il soffitto. Poi il rumore della porta che si apre. Ricordo quel momento in modo così chiaro, la paura che ho provato vedendoti. Nonostante tutto il bene che mi faceva, guardarti negl’occhi, guardare la tua bellissima figura, quel giorno, quel dannato pomeriggio, ebbi una paura terribile.
Paura di farti del male. Di nuovo. Per l’ennesima volta.
Quei pochi secondi di silenzio sono stati tremendi. Tremendi e lunghissimi. E vuoti.
”Gackt.”, solo il mio nome e nulla più. Un saluto, nulla. Neanche formalità e buone maniere. Dove avevi lasciato i tuoi modi principeschi, quel pomeriggio? Eri chiaramente deluso ed arrabbiato con me, e non potrò mai darti torto. Era chiaro che provavi in tutti i modi a non tradire emozioni, con la tua espressione da bambola di porcellana, ma riuscii a capire tranquillamente quali sentimenti provavi in quell’istante. Ti conoscevo troppo bene, lo sai.
”Manabu.”, ti ho chiamato per nome, quella volta. Quel pomeriggio. Non so neanche perché. Lo facevo raramente, e di solito solo per aggiungere un po’ di enfasi alle nostre chiacchierate fatte di troppe cose non dette.
”Così te ne vai.” Sentirlo dire, in questo modo così indifferente e apatico, da nient’altri che lui rese definitivo il fatto che lasciavo i Malice Mizer, amici, parenti di sangue. Sarebbe stato strano, andare avanti senza di loro. Ma tutti i vuoti si possono colmare, mi dissi. E, pian piano, me ne convinsi.
Lo guardai nel modo più intenso possibile. Lo ammetto, volevo fare un’uscita di scena gloriosa, degna di me.
Annui. La mia gola era secca come non lo era mai stata, e ingoiare la saliva era doloroso.

Se solo potessi tornare ora a quel pomeriggio, Mana, cambierei tutto. Ti andrei incontro, ti abbraccerei e, in lacrime, ti chiederei di capirmi e di perdonarmi. Per l’ultima volta.
Se solo potessi tornare ora a quel pomeriggio, Mana, te lo direi, [SM=x132435]. Te lo direi che ti amavo allora e che ti amo tutt’ora. E che mai smetterò di farlo.

Perché i suoi occhi, così belli e tristi, mi hanno fatto innamorare di lui. Il suo sguardo. Indescrivibile. Sempre perfetto ed elegante. Non ho bisogno di stupide foto, come adolescenti che tengono incorniciate le foto dei propri idoli accanto a letto, non ne ho davvero bisogno. Perché io, i suoi occhi, li vedo ogni notte quando chiudo gli occhi e mi addormento.

E al risveglio mi pento di tutto ciò che ho fatto quel pomeriggio.


[ continua … ]



Nota dell’autrice: perché sono sempre stata convinte che nell’autobiografia di Gackt mancasse un capitolo ^_^.