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FanFict Fantasy

Ultimo Aggiornamento: 06/09/2007 20:43
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07/11/2006 14:18



Potrebbe sembrare dalle prime battute, una storia totalmente normale,
con persone normale, luoghi normali (non specificamente scritto, ma medioevali),
con sentimenti e modi di fare davvero normali..
Ma non è così. Nulla è come appare.
E si scoprirà man mano andando avanti.
Chiedo scusa a chi avrà la decenza di leggerlo, per la storia strana
e piuttosto confusionaria che si troverà davanti, ma è la mia PRIMA FF Fantasy..
Siate clementi.. e se fa proprio schifo, ditemelo che la censuro!Anzi, la cancello! [SM=g27811]
Cominciamo con il primo capitolo...











Il Giorno che non c'è



Ricordo d'infanzia

Come vivresti tu dopo un’intera vita passata a credere nella fiducia riposta nel tuo migliore amico, credendo di conoscerlo, per poi scoprire che, alla fine, non conosci nemmeno te stesso?

[Dieci anni prima]

- Yuta, vieni, dobbiamo andare ad aiutare Ruka nella serra.
- Fossi matto! Siamo dei maschi, perché dobbiamo aiutare una ragazza? Non ci metto piede tra i fiori io.
- Dai, Yuta, mia madre lo ha chiesto come piacere personale.
- E in cambio?
- Ci farà mangiare il coniglio che ha catturato sei giorni fa! – sorrise allegro Shuta.
- Va bene, allora. Ci sto.
- Dai andiamo! Chi arriva primo si mangia la parte più grossa del coniglio!
- Credi di farmi paura? Vincerò io, vedrai!

- Yuta! Dove sei? – gridò mia madre dalla soglia di casa.
- Shuta! Vieni fuori, dove ti sei cacciato? Shuta! – gridò la madre di Shuta dall’orticello davanti alla loro casa.
- Eccoci, mamma. – ci presentammo dinanzi alla casa di Shuta, assieme a Ruka, con due cesti di fiori recisi.
- Ruka, Shuta, è pronta la cena. Yuta, caro, grazie per aver dato una mano. Vuoi fermarti a cena con noi?
- Ma mamma, Koto lo starà cercando. – rispose Ruka, riferendosi a mia madre.
- Si, hai ragione. – rispose la madre di Shuta. Poi mi guardò. – Sarà per un’altra volta, allora.
- Oh… - dissi deluso.
- No, mamma, Yuta rimane con noi a mangiare. Gliel’ho promesso. – replicò Shuta.
- Smettila di fare i capricci. – lo rimproverò Ruka, sua sorella maggiore. – Piuttosto, aiutami a sistemare i fiori.
- No! Se Yuta non rimane, non rimango a cena nemmeno io! – disse con risentimento e, prendendomi per un braccio, mi trascinò via correndo da casa sua, fino ad arrivare al fiume.
Arrivati lì, prima dell’imbrunire, ci mettemmo a pescare e cenammo con il pesce che cucinammo sul fuoco acceso con rami e foglie secche, alla riva del fiume.

- Che assurdità non poter cenare mai assieme! – disse Shuta con malinconia.
- A me non importa di cosa non facciamo insieme. Mi importa di quel che riusciamo a fare. – gli strizzai l’occhio.
- La fai semplice tu. Non capisco perché mia sorella non vuole che restiamo mai assieme dopo il tramonto.
- Avrà anche un caratterino dominante, ma la trovo davvero bellissima. – dissi, confidandomi per la prima volta.
- Che cavolo dici? Ti sei bevuto il cervello? – mi chiese Shuta, ma senza capire cosa intendessi dire io.
- Shuta, tu hai mai pensato a una ragazza?
- Cioè? – domandò, sdraiato sull’erba, con le braccia incrociate dietro la testa, assorto.
- Come cioè? Ti sei mai innamorato?
- Ma no, cosa dici?! Che vuol dire innamorato? Baciare una ragazza? – mi chiese, ingenuamente.
- Beh, credo di sì. – risposi, ma pensando dentro me che fosse qualcosa di più di un semplice bacio.
- A me non passa nemmeno per idea questa cosa. Puah! – sputò a terra, schifato.

Lo guardai stupito, convinto che ormai a undici anni fosse normale pensare di baciare una ragazza. A me Ruka piaceva davvero molto, anche se era più grande di noi. Pensavo molto a lei e la sognavo spesso.

- Bisogna tornare a casa. – disse Shuta. – Ormai le nostre famiglie saranno in pensiero. – si alzò dall’erba.
- Sì, hai ragione. Mio padre sarà furibondo. Non sa nemmeno che sono qui. Tua madre e tua sorella almeno sanno che sei con me a mangiare al fiume, o per lo meno, lo immagineranno.
- Ma vedrai, anche i tuoi genitori lo immagineranno. – mi confortò Shuta. – Andiamo.

Quando tornai a casa, mio padre mi stava aspettando davanti alle stalle. Mi picchiò per la mia negligenza e mi fece lavorare nelle stalle fino a mezzanotte.

- Yuta, che ti è successo? – chiese Shuta il giorno dopo, quando ci trovammo per andare da Suor Fana.
- Niente, non è successo niente. – risposi seccato.
- Come no? Hai il faccione gonfio. Cavolo, ti hanno pestato! Dimmi chi è stato!
- Smettila, Shu! E’ stato mio padre ieri sera.
- Ah. Che delusione. Contro di lui non posso aiutarti.
- Fa niente. – gli sorrisi. – Sbrighiamoci o Suor Fana ci metterà di nuovo in punizione per aver fatto tardi.

Suor Fana era la suora, insegnante, del nostro piccolo paese. Ci insegnava tutto ciò che dovevamo sapere sulla lettura e sulle eroiche imprese di antichi personaggi di leggende inverosimili.

- Yuta, mi prometti una cosa? – chiese Shuta all’improvviso, al ritorno dalla lezione di Suor Fana.
- Che vuoi? – chiesi, fingendomi indifferente.
- Qualunque cosa accada, noi resteremo sempre amici. Prometti?
- Sei scemo o cosa? – lo guardai inarcando un sopracciglio. Per me era ovvio e non serviva prometterlo.
- Guarda che ci conto! – mi disse seriamente. Poi sorrise e se ne andò via di corsa verso casa.



...Continua...


[Modificato da =Ereandil= 09/11/2006 14.42]

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08/11/2006 21:31




La scomparsa di Shuta


Il giorno seguente, corse a casa mia Shuta, urlando forte il mio nome. Ero ad aiutare mio padre nell’arare i campi e sentii a mala pena le sue urla, anche se non capivo cosa. Più si avvicinava, più era chiara la figura di Shuta che mi veniva incontro con un braccio alzato, in segno di saluto, ma anche di richiamo importante.

- Yuta, Yuta! – mi si avvicinò con affanno.
- Che c’è? Respira! – risposi, lanciando un’occhiata furtiva a mio padre che, se mi avesse visto parlare mentre lavoravo, me le avrebbe date di santa ragione.
- Non importa ora…. Non importa il respiro… - diceva con fatica.
- Ma che succede? – non capii l’urgenza della sua visita, dato che ci saremmo rivisti nel pomeriggio.
- Ruka. Si tratta di mia sorella… si sposa… si è fidanzata… - cercò di dire, mentre riprendeva fiato.
- Cosa hai detto? – domandai, sgranando gli occhi.
- E’ stata promessa in sposa…. A un ricco conte… uno della casata giù a valle. Ha tanti terreni .. mio padre da giovane lavorava per lui… e ora vuole sposare mia sorella.
- Co…. Io … - Shuta era sconvolto, ma io più di lui.

Sapevo che Ruka era perfetta come nobildonna, ma nel mio cuore, la speranza di crescere e di diventare per lei un marito ideale, non mi aveva mai abbandonato. Fino a quel momento.
Così, Ruka si sposò un anno più tardi e se ne andò dalla casa dove aveva vissuto per diciannove anni.
Da quel giorno, Shuta non lo rividi mai più.
Mi volevano far credere che era morto, schiacciato da un cavallo impazzito.
Non era possibile. Nessuno mi aveva invitato al suo funerale e io ero il suo migliore amico.
Perché quella menzogna? Perché Shuta era sparito? Cosa si nascondeva dietro queste immonde bugie?
Per un po’ cercai la verità con tutte le mie forze, ma quando capii che era tutto inutile, non mi restò che arrendermi all’evidenza e per dire addio a Shuta, cosparsi un cerchio di sassi vicino alla sponda del fiume, nostro rifugio abituale dai grandi e, all’interno, posai un fiore rubato dalla serra di Ruka, che ormai non se ne poteva più occupare.
Ero sicuro che un giorno Shuta sarebbe tornato e avrebbe capito quel simbolo, perché il suo nome significava "cerchio di pietre". Ovviamente, non avendo le pietre, dovetti accontentarmi di piccoli sassi. Per me era un gesto significativo.

Trascorsero così dieci anni. Io vivevo ancora nel piccolo paese di Shiinato, poco conosciuto, sulle colline a nord di Kyushu. Lavoravo nei campi al posto di mio padre, ormai vecchio e malandato. Mia madre ci aveva lasciati da due mesi. Tossiva spesso e sputava sangue. Il medico le aveva diagnosticato ancora una settimana di vita, ma lei riuscì a resistere in quello stato per due mesi, dopo di ché, il suo cuore si arrestò durante il sonno.

Un giorno che avevo finito tutto il lavoro nei campi, decisi di passare un po’ di tempo al fiume, anche per accertarmi che il piccolo simbolo di addio a Shuta fosse ancora in ordine, essendo circa due mesi che non mi dirigevo al fiume.
Con grande stupore, quando raggiunsi il nostro fanciullesco rifugio, vidi una ragazza vestita con abiti sgargianti e un ombrellino da sole, china sul cerchio di pietre. Mi avvicinai piano per non farmi sentire. Un ramoscello secco però scricchiolò sotto la mia scarpa, lei udì il suono e si spaventò, alzandosi di scatto, per poi voltarsi verso di me e indietreggiare di qualche passo.

- Perdonate, non volevo mettervi paura. – dissi, con brusco tono di scuse, che non erano la mia specialità.
- Yu.. – sembrò volermi dire qualcosa, mentre mi fissava con sguardo attonito.
- Come dite? Non ho capito, abbiate pazienza. – risposi, avvicinandomi al cerchio di sassi e notando che il fiore al suo interno era stato cambiato. – E questo cos’è? – chiesi, accigliato, mentre mi chinavo a prendere il fiore tra le mani per esaminarlo meglio.
- Ah… quello è… è un fiore finto… - rispose timidamente la ragazza, un poco più in disparte.
- Questo lo vedo. – dissi, scorbutico. – Ma che ci fa qui? E’ vostro? – mi voltai a osservarla malamente.
- Ecco… - indietreggiò un poco. Mi guardava tremando, con quegli occhi blu come l’acqua del fiume. – Sì.
- Ma davvero? E perché mai avete fatto cambio? Chi ve lo ha detto? – chiesi, digrignando i denti e stringendo nel pugno chiuso il suo fiore finto.
- No … nes.. nessuno… - sembrò gridare aiuto, spaventata com’era dalla mia reazione. – Volevo solo…
- Un corno! – gridai furioso. – Questo è un simbolo di grande importanza per me! Vedete di girare al largo!
- Ma… il .. il fiore… - cercò di ribadire.
- Non avete sentito bene? Devo forse ripetermi? Non sono affari vostri. Chi siete voi? – domandai, ma senza voler sentire realmente la risposta.
- Come? – chiese lei, stupita. – Oh, non pensavo voleste… conoscere… il mio nome… - disse, per poi continuare. – Io mi … mi chiamo .. Mana. Sono… sono spiacente per il fiore. Quello che c’era prima era secco e così…
- Che cavolo dite? – chiesi, inarcando il sopracciglio. – Non me ne frega nulla del vostro nome e delle vostre intenzioni. Riprendetevi questo scempio! – le lanciai il fiore stritolato ai piedi e la osservai con astìo.
- Oh… - portò una mano al petto, spaventata forse più per il gesto che per il mio modo di parlare. Osservò il fiore con sguardo incredulo, incapace di chinarsi a raccoglierlo.
- Mana! Mana, dove sei, cara? – una voce stava avvicinandosi al fiume. Una voce femminile.
- Ma chi … - ero sorpreso di vedere il luogo solitamente solitario, così pieno di visite in breve tempo.
- Oh… - vidi un’espressione di sgomento negli occhi della ragazza, probabilmente ricordatasi di qualcosa.
- Mana! Vieni fuori, avanti! Non abbiamo tempo da perdere. – disse la voce sempre più vicina.
- Vi stanno cercando a quanto pare. Meglio che ve ne andiate. – la spronai, con voce un po’ più calma, ma cupa.
- Ah… sì… io … - mi fissò, forse per dirmi qualcosa. Ma scrollò il capo e, dopo un inchino aggraziato, sparì.

Non ero sicuro di averla mai vista, ma mi ricordava vagamente qualcuno. E non capivo perché si trovasse proprio al fiume, chinata sul simbolo di addio, di cui Shuta poteva comprendere il significato, se mai lo avesse visto, un giorno. Ma avevo smesso di sperare. Da quando Ruka si sposò con qualcuno che non ero io, smisi di sognare, di costruire castelli in aria fatti di illusioni. E poi, Shuta che scomparve e il mio cuore ancora si domandava perché.
Non credevo a nessuna storiella patetica. Shuta non era morto. Ma qualcosa era successo. Qualcosa che io non potevo certo capire.
Mi chinai sul cerchio di sassi e lasciai che all’interno crescesse l’erbetta. Non mi importava più ormai di farla vedere a qualcuno che non sarebbe tornato con il suo sorriso e la sua allegria per dire addio di persona.
Mi rialzai dunque e tornai nei campi a cercare di impegnare il mio tempo fino a sera.




...Continua...




Dal prossimo sottotitolo potrete godere di immagini,
come se si trattasse di un reale libro illustrato (o fumetto),
che a ogni nuovo capitolo vanta di immagini che illustrano la storia.
Ancora vorrei capire se vi piace o meno...
Ma credo non l'abbia letta nessuno fino adesso.
Spero un giorno di poter avere il parere di un esperto.
Ma ancora è troppo presto, credo. La storia deve arrivare al punto migliore,
alla svolta, al capovolgimento totale. Tra poco... tra poco... ^^
Buona lettura, a chi interessato! [SM=g27822]
Intanto vado avanti a scrivere il dodicesimo capitolo a cui sono arrivata ora...




[Modificato da =Ereandil= 08/11/2006 21.33]

[Modificato da =Ereandil= 08/11/2006 23.20]

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09/11/2006 14:57








La ragazza misteriosa


- Perdonatemi signore. – sentii una vocina esile alle mie spalle.
- Sì? – mi voltai con aria interrogativa, ma sempre con la mia faccia da burbero.
- Suo padre mi manda a darvi questa. – rispose la voce di una anziana signora, ben vestita, con un pomposo cappello sulla testa e due guance ormai rugose e penzolanti.
- Mio padre? – chiesi con stupore, mentre prendevo la lettera che la vecchietta mi porgeva.
- Esatto, suo padre. Ora devo andare. Arrivederci. – disse con voce tremolante e proseguì il suo cammino.

Strano mio padre scrivesse delle lettere, visto che abitavamo sotto lo stesso tetto. La aprii dunque e la lessi con calma.

- Cosa? – urlai incredulo, da solo, come un pazzo, sul ciglio della strada che costeggiava casa mia.

Lessi e rilessi la lettera più volte, ma il significato era chiaro. C’era scritta la mia vera storia. Io non ero figlio legittimo del padre e della madre che mi hanno cresciuto. Ero stato trovato nei campi, una mattina di primavera. Piangevo nudo come un verme, avvolto solo da un misero straccio bianco, su cui era scritto il mio nome, Yuta.
Anni dopo, la mia vera madre venne a far visita ai miei genitori, ma io non la vidi che per pochi attimi, prima che se ne andasse e non feci domande su chi fosse e chi non fosse. Voleva sincerarsi delle mie condizioni. Era una nobile donna, dall’aspetto elegante e prosperoso. Non mi dissero niente, perché lei non voleva che io lo scoprissi. Ero nato da una relazione prematrimoniale con un uomo che poco centrava nella sua vita, poiché era già stato scelto colui con cui avrebbe dovuto condividere beni e averi per il resto dei suoi giorni.
Ma il patto che fecero con questa donna si doveva rompere, ora che mio padre mi avrebbe dovuto lasciare e voleva che io sapessi la verità per tempo. Ero a conoscenza del fatto che ormai la sua malattia peggiorava di giorno in giorno e sapevo che prima o poi mi avrebbe dovuto dire addio. Ma ero pronto ad accettarlo. Se tutto fosse rimasto così, ero pronto ad accettarlo. Invece, quella lettera mi spiazzò totalmente.
Io, figlio illegittimo di una nobile donna. Come potevo rintracciarla? Come potevo scoprire chi fosse? E poi, se anche ci avessi provato, non era troppo tardi? E non sarebbe stato pericoloso esporsi, sapendo che ero nato da una relazione peccaminosa? Mentre pensavo a come salvare ciò che restava della mia vita, ponendomi mille più quesiti, la ragazza del giorno precedente che incontrai al fiume, si rivelò a pochi passi da me e, sgranando gli occhi per lo stupore, arrestò il passo, osservandomi perplessa.

- Che c’è da guardare? Io abito qui. – indicai la casa alle mie spalle. – Quindi, girate al largo.
- Sc..scu…scusate… - disse, cercando di farsi forza. – Posso … posso parlarvi? – chiese, garbata.
- Che volete da me? – il mio tono non si smentiva, brusco come al solito.
- Io… ecco…
- Per favore, arrivate al dunque e poi lasciatemi stare. Ho molte cose da fare.
- Si… si, certo… perdonatemi. – chinò il capo, per poi tornare a osservarmi. – Ecco… potreste accompagnarmi al fiume? – chiese, come favore. – Vorrei poterci tornare.. ma … non se voi la prendete a male.

La osservai senza capire. Si mostrava gentile con me, nonostante i miei modi bruschi e il tono aspro della voce.
Non dissi una parola. Riposi la lettera nella busta, la chiusi, la misi in tasca e, solo con un cenno, feci capire a quella misteriosa ragazza di seguirmi e lei, come fosse un cagnolino, mi seguì in silenzio.
Arrivati al fiume, mi ringraziò, molto garbatamente, ma io non risposi. Mi avvicinai alla sponda e immersi i piedi nelle fresche acque mattutine.

- Che bello. Sembra divertente. Posso farlo anche io? – mi chiese, per nulla intimorita dalla mia presenza.
- Nessuno ve lo vieta. O sbaglio? – risposi secco.

Lei annuì e si tolse le scarpe per poi sedersi accanto a me e immerse i pedi nell’acqua.

- Brrrrrrr … com’è fredda! – disse, ma sorrideva, come se le piacesse quella sensazione.
- E’ normale che lo sia. – sempre brusco era il mio tono.
- Voi venite qui tutti i giorni? – chiese, tralasciando il mio puntiglioso sarcasmo.
- Che c’entra adesso? – risposi malamente, non avendo voglia di parlare.
- Non lo so. Era così per dire. – disse, con un lieve sorriso. – Brrrr .. non riesco a stare dentro ancora. E’ molto fredda! Voi come fate? – domandò, nel vedere che io riuscivo a tenere i piedi ancora a bagno.
- Per me è questione di abitudine. – risposi senza tanti convenevoli.
- Mi parlate un po’ di voi? – chiese, ormai senza più timore nello starmi vicino.
- No. – brusca fu la risposta.
- Dovreste presentarvi, per essere educato e ricambiare il fatto che ieri mi sono presentata a voi. – disse tranquilla.
- Ascoltatemi bene! – tuonai. – Non ho la minima intenzione di essere educato e tanto meno di presentarmi a voi!
- Oh…. – restò per un attimo attonita, ma poi tornò a fissare il fiume, in cui non era più immersa con i piedi e non aggiunse altro, come a farmi sentire in colpa per averle risposto male.

Ma io non volevo sentirmi in colpa. Perché avrei dovuto? Quella ragazza mi aveva sottratto dal mio lavoro nei campi per portarmi al fiume senza una ragione e ora voleva fare conversazione. Che cos’aveva in testa? Era normale?
Eppure questo non significava che io dovevo per forza trattarla male. Anzi, non avrei proprio dovuto e un po’, anche se non lo ammettevo a me stesso, mi sentivo in colpa.

- Deve avere avuto un significato davvero grande per voi, quel fiore che io ho scambiato. – disse, a un tratto.
- Hei ma.. – avrei voluto intimarla a zittirsi, però notai due occhi blu notte che mi fissavano curiosi.
- Perdonatemi se ho osato mettere il mio fiore finto. – continuò, senza aspettare che io finissi la frase.
- Bah! – mi voltai di nuovo verso il fiume, scocciato.
- Vi va se facciamo pace? – chiese con un sorriso limpido e pacato.
- Come? – chiesi, fissandola come se avesse la lebbra.

Lei fece una risatina sommessa e mi prese un braccio, appoggiandovi la testa sopra, restando seduta al mio fianco. Anche se cominciai a sentire freddo, non tolsi i piedi dall’acqua per non allontanare quella misteriosa ragazza da me.
In verità non mi sarebbe dovuto importare molto, anzi, avrei dovuto essere contento di scrollarmela di dosso, invece sentii un battito insolito nel petto. Uno strano turbamento invase i miei pensieri.

- Penso che sia ora di tornare indietro. – disse, con occhi chiusi e la testa ancora appoggiata al mio braccio.

Non risposi. Levai i piedi dall’acqua e mi alzai, lasciandola seduta al suolo. Gocciolavo acqua dalla base del mio corpo e lei mi fissava dalla sua posizione seduta con aria interrogativa.
Senza comprenderne il motivo, le porsi una mano e l’aiutai così a rialzarsi. Ci rimettemmo le scarpe e cominciammo a incamminarci sulla via del ritorno, e questa volta lei restò attaccata al mio braccio.

- Vi prego, rispondete almeno a una domanda.. – disse, con volto supplichevole.
- Cioè? – chiesi, burbero come al solito, tenendo lo sguardo fisso davanti a me.
- Per chi è quel cerchio di sassi che contornavano un fiore secco? – domandò ingenuamente curiosa.
- Un ricordo. – dissi solo.
- Oh…. Allora doveva essere una persona speciale. – azzardò in giudizio.
- Bah! – risposi rude.
- Sì, ne sono certa. – sorrise, stringendosi ancora un poco al mio braccio, lasciandomi senza parole.

Sapeva leggermi dentro il cuore per caso? Non tremava più, nonostante il giorno prima mi ero comportato in modo pessimo e ancora lo stavo facendo. Inoltre, sembrò comprendere la bontà che tenevo chiusa in me, da anni.
Io invece ancora non ero riuscito a capire nulla di lei. Chi era? Da dove veniva? Perché si era così appiccicata a me?
Perché voleva passare del tempo al fiume in mia compagnia? Perché mi faceva sentire debole?

- Ora… ora è meglio che vada… - disse, appena arrivammo davanti a casa mia.
- Sì. Addio! – risposi bruscamente, diretto poi alla stalla.
- Ah, però…. Prima, volevo… volevo ringraziarvi per avermi permesso di tornare al fiume.
- Non importa. – le feci segno di andarsene con la mano, in malo modo.
- Invece per me ha importanza! – replicò seria, prendendo la mano e strattonandomi verso di lei per posare le sue labbra morbide e vellutate sulla mia guancia ruvida per via della ricrescita della barba.

Senza parole la osservai, scostandomi da lei immediatamente. Anche lei mi guardava senza dire nulla e senza espressione che potesse farmi capire cosa pensava. Poi sorrise. Un sorriso dolcissimo e innocente. Mi salutò e andò via.
Rimasi impalato a guardare la sua figura allontanarsi, incredulo, sfiorandomi la guancia con la mano.
Ma che le era venuto in mente di fare? E perché poi? Quella ragazza era davvero misteriosa e imprevedibile.
Sparii così nelle stalle, pensando di stare in allerta verso il mio cuore, che batteva a ritmo stranamente irregolare.




...Continua...



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13/11/2006 09:19


PAUSA...

Purtroppo mi tocca sospendere questo scritto per un po'..
Mi è andato in tilt il computer ieri sera e non avevo salvato gli altri capitoli del manoscritto...mi toccherà rifarlo,
quindi ci metterò un pochetto...
Spero mi venga bene come la prima volta..
Uff.. che disgraziata che sono [SM=g27813]


[SM=x132391]
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Grado 2
14/11/2006 10:05


Ereandil ma sei troppo brava! Ho letto anche "L'amore in sogno" e mi è piaciuto da morire! Sono sicura che sarà bello anche questo che stai scrivendo. Le immagini almeno sono stupende. La storia si vede che deve ancora evolversi ma dalle prime battute non è per niente brutta. Vabbè che io mi intendo poco di fan fict perchè se mi metto a scrivere qualcosa mi sparo, visto i voti che prendo nei temi a scuola [SM=x132395] [SM=x132374]
Brava! Continua così! Dacci dentro! [SM=g27811]
Ancora non ho letto "La libertà di amare" perchè è più lungo ma un pochino ho letto la prima parte. E' ambientato in epoche passate vero? Perchè danno del voi. [SM=g27833]
Vabbè, ciao! E scrivi ancora eh! [SM=g27828]


°.NaIf.°
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19/11/2006 10:44

Re:

Scritto da: °.Naif.° 14/11/2006 10.05

Ereandil ma sei troppo brava! Ho letto anche "L'amore in sogno" e mi è piaciuto da morire! Sono sicura che sarà bello anche questo che stai scrivendo. Le immagini almeno sono stupende. La storia si vede che deve ancora evolversi ma dalle prime battute non è per niente brutta. Vabbè che io mi intendo poco di fan fict perchè se mi metto a scrivere qualcosa mi sparo, visto i voti che prendo nei temi a scuola [SM=x132395] [SM=x132374]
Brava! Continua così! Dacci dentro! [SM=g27811]
Ancora non ho letto "La libertà di amare" perchè è più lungo ma un pochino ho letto la prima parte. E' ambientato in epoche passate vero? Perchè danno del voi. [SM=g27833]
Vabbè, ciao! E scrivi ancora eh! [SM=g27828]


°.NaIf.°




Ciaooooooooooooooo (Naif, ma sei come il prezzemolo tu?? [SM=g27820]: ) Ebbene, grande notizia!!! Ho ritrovato i capitoli che avevo scritto!!! [SM=g27837]

Temevo fossero andati perduti per sempre, invece, mentre stavo salvando delle cose che avevo messo su word, mi si è aperta l'ultima pag. di word che non avevo salvato, ovvero i restanti capitoli della FF Fantasy [SM=x132376]
L'ho ovvimente salvato all'istante!!! E ora posso continuare a postare..
[SM=x132434]


Ovviamente, devo ancora concluderla [SM=g27828]


Grazie NAif per aver esposto i tuoi pareri [SM=g27811]

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22/11/2006 21:48






La vecchia col bastone


- Cosa fate? – mi investì una domanda a pochi metri dal luogo in cui mi trovavo.

Mi raddrizzai, essendo chino sulle erbacce, lavorando la terra a pochi passi dal ciglio della strada. Mi voltai verso la voce che mi parve di riconoscere e, quando la vidi, ogni sospetto fu fondato. La ragazza misteriosa era venuta a trovarmi anche oggi.

- Bah! – il mio tono brusco non riuscivo proprio ad addolcirlo in sua presenza.
- Posso aiutarvi? – chiese e, senza attender risposta, prese a camminare tra le spighe alte del campo.
- Cosa vi salta in mente, sciocca! Via, restate al vostro posto! – cercai di cacciarla puntando verso lei la falce che avevo in mano, ma era lontana da me e non riuscii a impressionarla.
- Perché non posso? Mi sembra così bello qui. Le piante sono più alte di me. – sorrise, avanzando verso di me.
- Vi ho detto di andarvene. Queste non sono piante, sono spighe! Sciò! Mi rovinate il campo!
- Suvvia, non sarà mica il mio passo a rovinare il campo, non credete? – ribadì, ingenua, raggiungendomi.
- Siete impossibile! Ve lo hanno mai detto? – la rimproverai tenendo la falce a distanza da lei per non farle male.
- Oh, sì, continuamente, quando ero più piccola. Ero un tale maschiaccio…. – portò una mano davanti alla bocca per coprire un sorriso divertito.

Inarcai un sopracciglio e la guardai senza rispondere. Pensai che il mio sguardo potesse già valere molto. Ma non riuscii a intimarla, così prese a camminarmi intorno per poi tornare dove era prima, a guardarmi negli occhi.

- Dite, cosa posso fare per voi? – chiese, seriamente motivata.
- Sparite! – le risposi freddo come il ghiaccio.
- Ma prima vorrei almeno potervi aiutare… - ribadì.
- Impossibile! Non è posto per voi questo. – mi girai così dall’altra parte e continuai a lavorare, sperando che capisse di doversi allontanare. Ma non fu così semplice.
- Potrei provare anche io? – domandò, indicando la falce.
- Siete forse diventata matta? – mi fermai e la osservai con sguardo interrogativo e serio.
- Ma è solo per provare… se sbaglio mi correggete. – sembrò supplicare.
- Non sono qui per perdere tempo. Non ve lo chiederò di nuovo. Sparite!
- No! Non posso farlo! – rispose a tono, con sguardo fiero, come a volermi sfidare.

La osservai senza capire più le sue intenzioni. Era davvero caparbia. Impossibile riuscire a farle cambiare idea se non si usavano bruschi modi di agire. E così feci. Stanco di ripetermi, abbandonai la falce e la presi per un braccio, trascinandola con forza verso l’uscita dal mio terreno.

- Che fate? Lasciatemi! Non voglio … lasciatemi! – gridava, cercando di divincolarsi il più possibile.
- Tacete! – le risposi bruscamente, come sempre, essendo più forte di lei e riuscendo a portarla sulla strada.

Quando facemmo capolino dal campo si spighe, vidi la signora anziana della mattina precedente, lì in mezzo alla via, che ci osservava attonita, tra il divertito e l’interrogativo. Chissà cosa stava pensando a causa degli urli che emetteva quella ragazza così insistente. Mollai così di colpo il braccio di lei e mi avvicinai alla vecchia, cercando di nasconderle il mio imbarazzo.

- Che volete ancora? – chiesi, sempre con molta delicatezza, ovviamente.
- Scusate se vi ho disturbati. – alluse lei guardando verso la ragazza che si metteva a posto il vestito, equivocamente.
- Non diciamo sciocchezze!! Venite al dunque, per cortesia. – ero piuttosto seccato.
- Non mi offrite un tè? – chiese. – Sapete com’è, non sono più giovincella e sedermi non potrebbe che farmi bene.
- Sì, sì, ho capito. Accomodatevi pure. – dissi, tagliando corto, aprendole la porta di casa. Poi mi voltai verso la sciagurata e le feci cenno di entrare, sparendo all’interno della casa. Così, anche la ragazza entrò e chiuse la porta.
- Sedetevi. E sbrigatevi a dirmi che volete. Oggi ho già oziato abbastanza. – mi rivolsi alla vecchia col bastone.
- Devo raccontarvi una storia davvero sconvolgente, giovanotto. Meglio che vi sediate. – rispose serenamente.
- Che bella casetta… - apostrofò con ammirazione la ragazza misteriosa, guardandosi attorno.
- Siete pronti a partire? – chiese la vecchia.
- Partire? Ma di che parlate? – mi lasciò di stucco e pensai fosse pazza.
- Per catturare il giorno che non c’è! – rispose lei, con un guizzo negli occhi e il tono misterioso.
- Che? – chiesi, inarcando il solito sopracciglio.
- Di cosa parlate nonnina? – intervenne la ragazza, curiosa dal racconto della vecchia.
- Parlo di un mondo fatato, dove vivono sirene, folletti, fate, gnomi e tante altre creature fantastiche. Ma dovete sapere che questo luogo è ambientato in piena notte e solo ogni mille anni viene raggiunto dal sole, che porta il giorno in questo mondo così buio.
- Ma siete forse pazza? – tuonai, infine, battendo i pugni sul tavolo. – Che cavolo volete da noi? Prima mi mandate quella lettera, poi mi venite a raccontare questa storia ai limiti della fantasia. Dico, ma chi cavolo siete?
- Io sono PeroPoroGusha, la maga più antica di Buyo, il mondo magico di cui vi ho parlato.
- Piantatela, vecchia pazza che non siete altro! – gridai, osservandola con ira.
- No, Yuta! – urlò a un tratto la ragazza, correndomi incontro per placare la mia collera.
- Cosa…? – sentii cingermi la vita con le sue braccia esili e la osservai incredulo. – Ma tu… - non riuscii a parlare.
- Yuta. – richiamò la mia attenzione la vecchia. – Ancora non capite chi è lei? – mi chiese con un sorriso.
- Che? – ormai mi sembrò di essere diventato pazzo. Non potei far altro che ascoltare quel delirio di parole.
- Mana, presentati a Yuta come si deve. E’ giunto il momento. – ordinò la vecchia alla ragazza.
- Sì… - rispose sommessa la ragazza, dopo un lieve attimo di stupore. Quindi mi lasciò e si portò un poco distante, mi porse un inchino rispettoso e si rivelò. – Yuta, io sono Mana. Sono lo spirito di Shuta, un bambino di dieci anni, pieno di vita e amante delle corse nei prati.
- Cosa hai detto? – domandai, incredulo, riconoscendo finalmente in lei i lineamenti esatti di Shuta, comprendendo perché la trovai familiare.
- Bene. Ora che lo sapete, Yuta, in realtà Mana è una ninfa di Buyo, il nostro mondo privo di luce diurna.
- Una … una ninfa? – la guardai bene, poi osservai la vecchia e nuovamente guardai la ragazza.
- Esatto. Yuta, mi dispiace, io…. Volevo dirtelo da quando eravamo piccoli, ma… mi avevano chiesto di mantenere il segreto con chiunque e così…
- Ma… non capisco! Allora… Shuta… e .. e Ruka? E tu… dove sei stata per tutto questo tempo? – le domande uscivano spontanee una dopo l’altra, come getti d’acqua.
- Sono venuta qui per cercarti. Tutte le persone che ricordi sono reali, sono umane, appartengono a questo mondo. Anche Shuta vi apparteneva, prima che…
- Bene, Mana. Può bastare per adesso. – rispose la vecchia.
- Come, può bastare? – replicai. - No, voglio sapere! Ho il diritto a delle spiegazioni!
- Certamente. Avete tutti i diritti del mondo, Yuta. Ma prima di conoscere la storia intera, devo sapere se siete disposto a partire assieme a noi per Buyo e catturare il giorno che non c’è.
- Cosa? Ma io … - non sapevo che dire. Era tutto così incredibile e irreale. Mi massaggiai le tempie e, dopo aver chiuso gli occhi, li riaprii cercando di mantenere la calma.
- Yuta. Stai bene? – chiese Mana, preoccupata.
- Si, Mana, non preoccuparti. Sono sicura ora il tuo Yuta ci risponderà. Devi capire che era ancora molto piccolo quando fu strappato dai suoi veri genitori e la memoria non gli tornerà alla mente in così breve tempo, ma pian piano vedrai che si ricorderà e allora tutto cambierà come previsto.
- Come previsto? Ma di cosa parlate? Mi state facendo ammattire. Che cosa dovrei ricordare? – ormai ero sconcertato.

Ero in uno stato di totale confusione. Non capivo cosa stesse accadendo. Avevo vissuto ventuno anni credendo di essere figlio di persone a cui non appartenevo neanche lontanamente e ora, quando ero già troppo cresciuto per credere nelle favole, questa storia pazzesca aveva preso il via nella mia esistenza. Chi era quella vecchia? Cos’era questo mondo privo di luce solare e pino di creature fatate? E perché io ero coinvolto mio malgrado in tutto questo?
Ogni domanda era priva di risposta concreta. Dovevo dare io una risposta alla vecchia. Andare a Buyo e aiutarla in questa ricerca di cui non comprendevo la necessità o rifiutare? Ma se accettavo, cosa avrei dovuto fare esattamente? E se mi rifiutavo, cosa sarebbe successo? Troppe domande esigevano risposta. E riuscivo solo a fissare incredulo la giovane Mana e la vecchia PeroPoroGusha che sorrideva osservandomi, come se leggesse nei miei pensieri.



...Continua...


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08/12/2006 13:54






Il magico mondo notturno


- Dovete darmi una risposta, Yuta. – insistette la vecchia.
- Non so ancora di cosa cavolo parlate e non capisco se dite sul serio o se è uno scherzo. – risposi duramente.
- Sta tornando in voi il caratterino solito di tutte le creature simili alla vostra. – sorrise compiaciuta la vecchia,
- guardandomi. – Ebbene, sarò disposta a rispondere alle domande che avete da porre, a condizione che poi accettiate di partire per Buyo. – disse, mettendomi con le spalle al muro. – Avanti, chiedete pure.
- Nonnina, siete sicura che… - Mana cercò di dire qualcosa, ma la vecchia la interruppe, alzando una mano per ordinarle di fermare le parole e così fece. Poi mi guardò, impensierita.
- D’accordo, dunque. – accettai. Infondo mi stavano dando l’occasione di poter fare domande. – Per prima cosa, perché sta capitando tutto questo? E’ reale o finzione? – chiesi.
- E’ tutto vero, ragazzo mio. – rispose la vecchia chiudendo gli occhi. – E capita nel momento più opportuno. Aspettavamo solo che voi aveste l’età adeguata per intraprendere tale missione e tra tre soli giorni, a Buyo, apparirà il sole e verrà giorno. In quell’occasione, dovrà essere catturato.
- Già. Dunque cos’è questa storia del giorno che non c’è? – incapace di capire.
- A Buyo è sorto un incantesimo più di sette mila anni fa. Ogni mille anni avviene una nuova incoronazione per comandare sul magico mondo del sonno. In questo mondo prevalevano giornate di buio assoluto, dove si potevano ammirare le stelle, la luna, i riflessi del mare e delle pinne delle sirene. Le fate, da noi chiamate Tunny, cospargevano di polvere magica questo mondo incantato, per donare pace e serenità a ogni abitante. Noi maghette, le PeroPoro, aiutavamo in questa missione le fatine, viaggiando tra il mondo di Buyo e il mondo degli umani, per permettere a tutti i bambini di sognare questo magico posto incantato. Ma quando avvenne il momento di una nuova incoronazione, fu prescelta Kafuha, la più bella tra le ninfe del mare, ma anche la più tenebrosa, nata da una ninfetta e da un elfo del Sud. Al momento dell’incoronazione, Kafuha espresse un desiderio, come vuole la tradizione. Se il desiderio, che deve essere espresso per il bene di Buyo, appare di beneficio alla terra e a tutti i magici abitanti, la persona che è stata scelta per ricoprire la carica di regnante per mille anni, viene trasformata in una stella e potrà vivere in eterno, portando sogni e gioia con il suo bagliore. Ma se il desiderio che si esprime, non ha alcun beneficio per il mondo di Buyo, il nuovo regnante sarà risucchiato dall’oscurità degli abissi e costretto a perire, diventando acqua di mare. Kafuha desiderò che a Buyo non ci fossero più giorni pieni di luce, che già erano così rari e preziosi per tutti noi, apparendo solo ogni cento anni. Fu così che la perfida ninfa diventò acqua salata e ci ritrovammo a vivere nell’oscurità per mille anni. Fino a che, al momento di un’altra incoronazione, la luce del giorno torna a regalarci emozioni, anche se per brevi ore. Questo incantesimo dura da ormai sette mila anni e ogni mille anni solamente, la luce del sole torna a scaldarci. Purtroppo, per spezzare l’incantesimo, non serve che il nuovo regnante desideri di far apparire la luce del giorno come molto tempo fa, poiché non ne ha la facoltà. Può spezzare i desideri maligni espressi dagli antichi regnanti, solo il figlio legittimo di un Elfo che fu Re e un’Elfa che fu Regina di Buyo. Nessun altro può. E voi, Yuta, appartenete alla nobile stirpe dei Morlah, gli elfi leggendari, che un tempo furono incoronati per regnare a Buyo e, con i loro desideri pacifici, ci permisero di vantare di questo mondo incantato. I vostri genitori, Yuta, sono divenuti le stelle più belle che si possano vedere a Buyo e hanno un posto di grande importanza, vicino alla luna piena.
- Non è fantastico, Liho? – mi chiese Mana, guardandomi meravigliata, dopo aver ascoltato assieme a me il racconto più bizzarro che avessi mai sentito.
- Liho? – chiesi, sempre più confuso e pieno di domande.
- E’ il vostro nome elfico. – rispose la vecchia maga.
- Il mio… cosa…? – ormai la testa mi scoppiava e le tempie pulsavano forte. Mi toccai la nuca a un lato e sentii qualcosa di lungo e appuntito sull’orecchio. – Che cavolo….? – percorsi con le dita quella strana cosa e mi stupii, nel comprendere che era un tutt’uno con il mio orecchio. Era un orecchio lungo e appuntito. Ero un elfo!
- Ora ci credete? – chiese la vecchia, sorridendo come se mi avesse offerto un cioccolatino.
- Non facciamo scherzi! Rivoglio il mio orecchio! – urlai, allontanando la mano da quell’affare appuntito.
- Liho… - mi guardò Mana, con dolcezza. – Non preoccuparti, è normale all’inizio. Pian piano, quando i ricordi riaffioreranno, tutto sarà più facile anche per te. – disse avvicinandosi e toccandomi le punte delle orecchie.
- Esatto, Mana, hai proprio ragione. – affermò la vecchia, alzandosi in piedi, puntandoci contro il suo bastone.
- Che cosa volete fare ora? – domandai, perplesso.
- Partire per Buyo, naturalmente. – sorrise e dal bastone partì una strana luce azzurra che illuminò interamente la stanza, così forte da farmi coprire gli occhi con un braccio.

Quando li riaprii, la luce era sparita. Ma anche la stanza era sparita. Tutto attorno era immerso in un luogo naturale.
Davanti a me c’era un laghetto pieno di foglie grandi e fiori deliziosi. Le ranocchie saltavano di qua e di là.
Al mio fianco c’era Mana, ora vestita solo di uno strascico bianco luminoso, con lunghi capelli ramati che arrivavano ai piedi scalzi. Sul braccio sinistro, poco sotto la spalla, aveva un grosso simbolo circolare, come un enorme bracciale d’oro. I suoi occhioni blu mi scrutavano allegramente. Eravamo totalmente avvolti dalla notte.

- Come sei bello, Liho. – mi disse con sguardo pieno di ammirazione.
- Come? Io? – la guardai sconcertato, poi mi guardai addosso. Avevo degli abiti che nemmeno per una festa mascherata avrei mai pensato di mettere.

Una camicia bianca, dalle ampie maniche, mi copriva il busto, assieme a un gilet blu scuro, di velluto, con i bottoni dorati sul davanti. Lunghi pantaloni attillati, in camoscio, anche questi blu scuro e gli stivali di camoscio nero.
Ero dotato anche di un enorme cinturone di cuoio dotata di fodero a un lato, in cui era infilata una spada.
Mi toccai di istinto per capire se era tutto vero. Come era possibile che mi fossi cambiato d’abito? E da dove saltavano fuori quegli indumenti ambigui? Ero abituato ad abiti semplici e stracciati. E poi, dov’ero finito? Era quello il mondo di Buyo? E come ci ero finito? Troppe domande affollavano la mia mente. Ed ecco che apparve davanti a noi una figura che vantava di un’aura azzurra fatata.

- Finalmente a casa, Liho. – disse questa figura, esile e longilinea, vestita di un lungo abito celeste, dello stesso colore dei capelli e dell’aura che emanava. Solo gli occhi erano grigi.
- Cosa? – chiesi, incantato.
- Non mi riconosci? – sorrise e notai solo ora che tra le mani, dalle lunghissime unghie blu, spuntava un bastone.
- Ma …. Ma tu sei…. – la guardai attonito.
- Esatto. Sono io, PeroPoroGusha, la maga. – rispose cordiale.
- Ma no! Com’è possibile? Non eri vecchia? – chiesi senza pensare.
- Ho solo cento mila anni di vita. Sono ancora in buono stato, direi. – rise e si guardò per poi riportare su di me l’attenzione. – In questo luogo nulla è come sembra, Liho e te ne accorgerai presto.

Sparì, esattamente come era apparsa, nel modo più misterioso che avessi mai visto. Infondo era normale, per una maga, ma non ero abituato ad avvenimenti simili.

- Liho. – mi chiamò con lieve tono di voce Mana. La guardai con aria interrogativa e lei continuò. – Vieni, ti farò conoscere la mia famiglia. – disse, prendendomi per mano.
- La.. la tua famiglia? – chiesi, sconcertato e notai che le sue orecchie erano appuntite come le mie, ma di forma lievemente diversa, più fini e allungate.
- Certo. Sono ansiose di conoscerti.
- Ma chi? – domandai con non poca curiosità e timore.

Mana non rispose, e mi trascinò delicatamente per mano.
Giungemmo così dinanzi a una cascata, nel mezzo del bosco. Tante piccole fatine volavano sopra le rocce e l’acqua, illuminando il posto, graziose e leggiadre.

- Eccoci arrivati. – disse Mana, indicandomi la cascata. – Qui è dove veniamo a radunarci abitualmente noi ninfe.
- Ah… capisco. – risposi affascinato dal luogo.
- Mana, finalmente. – alle nostre spalle si materializzò una ninfa dall’abito ancora più lucente di quello di Mana e dai capelli rossi, vivi, la pelle lattea e gli occhi allungati, di un unico colore : blu.
- Utahe! – esclamò Mana con gioia, voltandosi verso la splendida creatura.
- Lui deve essere quello della leggenda. – l’amica di Mana mi guardò, con sereno sorriso.
- Sì, Utahe. Ti presento Liho. – rispose, indicandomi con lo sguardo.
- Molto lieto. – senza nemmeno pensare, mi ritrovai genuflesso dinanzi alla creatura.
- Alzatevi, portatore di luce. – mi ordinò lei. – Siete il benvenuto. Sarà Mana a prendersi cura di voi.
- Davvero potrò? – chiese Mana con entusiasmo.
- Certamente. – le rispose amorevole la creatura.
- Utahe, grazie! Hai sentito Liho? – mi chiese piena di felicità nello sguardo.
- Sì .. – risposi, sconcertato da quella sua allegria.

[Liho, avete visto lo sguardo di Mana?] sentii domandare nella mia testa.
[Ma cosa…?] risposi dentro me.
[Sono io, Liho. Sono la ninfa che ti appare ora davanti.] rispose la voce. Era Utahe che mi parlava col pensiero.
[Ma come è possibile?] chiesi, sbalordito sia perché riuscivo a sentirla, sia perché lei riusciva a sentire me.
[Sono diventata tutt’uno con i vostri pensieri. Noi ninfe possiamo farlo. Con chiunque.] spiegò lei.
[Incredibile…]riuscii a dire solamente.
[Ebbene, Liho. Abbiate sempre ricordo di quello sguardo sul volto di mia figlia.]
[Vostra figlia? Mana?] chiesi con stupore.
[Qui a Buyo, tutte le ninfe sono miei figlie. Le ho generate io e ne sono particolarmente affezionata. Mana è la mia ultima creazione. Di lei sono davvero orgogliosa. Abbiatene cura, durante il cammino che vi porterà a compiere il dovere per cui giunto fino a qui. Lei sarà la vostra guida]
[Aspetta un attimo. Non capisco. Tu sai perché io sono qui?]
[Io so molte più cose di quanto voi crediate.]
[Allora potreste spiegarmi perché esattamente sono finito in questo posto?]
[Perché siete il prescelto.]
[Ma per cosa?]
[Per portare la luce del giorno in questo luogo notturno.]
[Ma come posso farlo, io?]
[Solo chi ha tale compito, può trovare in sé le risposte che cerca.]
[Ma io … io non lo so!]
[Allora non vi resta che cercarle.]
[E dove? Dove posso cercarle?]
[Nel cuore.] rispose con una calma inesauribile a tutte le mie domande.

- Liho! – mi scrollò per un braccio Mana. – Ti sei incantato? Vieni, devo farti conoscere le altre mie sorelle! – disse.

La guardai, annuendo, dopo un istante di sgomento. Poi tornai a osservare dritto davanti a me, ed ecco che la ninfa, madre di tutte le altre creature simili a Mana, era scomparsa.





...Continua...


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31/12/2006 14:03





I genitori di Liho


- [Liho!] sentii chiamare il mio nuovo nome nella mia testa. [Liho, rispondimi.]
- [Chi è che parla?] aprii gli occhi e mi ritrovai vicino alla cascata in mezzo al bosco.
- [Sono io.] rispose la voce nella mia testa e davanti a me apparve PeroPoroGusha.
- [Tu? Come è possibile? Sei una maga, oppure…?]
- [Sì, Liho, sono una maga. Non potrei parlare nei tuoi pensieri se fossimo in circostanze normali, ma qui posso farlo, perché questo è un sogno. E’ il tuo sogno. E nei sogni sei tu che decidi.]
- [Cosa?] domandai, attonito.
- [E’ così, Liho. Il tuo corpo ora sta dormendo, ma la tua mente no. Stai sognando, o meglio, gli umani sognano. Qui a Buyo, i sogni non sono altro che vite parallele. Viaggi compiuti dalla mente e non dal corpo.]
- [Com’è tutto complicato qui.]
- [All’inizio potrebbe apparire così, ma non è proprio complicato come pensi. Ti è mai capitato di sognare quando vivevi la tua vita da umano?]
- [Sì, certo.]
- [E quando sognavi, non era forse vero che il tuo corpo riposava, mentre la tua mente continuava a compiere viaggi?]
- [Sì, penso di sì.]
- [Qui a Buyo accade esattamente la stessa cosa. Però i sogni sono reali. Ciò che nei tuoi sogni accade, accade davvero. Anche se nei sogni si possono modificare molte cose, come ad esempio, il fatto che parliamo con il pensiero. Mi hai chiamata tu qui. Sei tu che mi stai sognando.]
- [E perché sto sognando proprio te?]
- [Purtroppo, questo solo tu puoi saperlo. E’ un tuo desiderio inconscio. Forse, vuoi chiedermi qualcosa.]
- [Sì, probabilmente è per questo.]
- [Allora comincia, ti ascolto.]
- [Cos’è esattamente Buyo? Voglio dire… com’è nato? Oggi ho incontrato la madre di tutte le ninfe. Dice che le altre simili a Mana e Mana stessa, le ha create lei. Ma com’è possibile? E lei da chi è stata creata?]
- [Troppe domande sono sempre pericolose, Liho. Perché richiedono molte risposte. E dietro le risposte, si nascondo altre domande.]
- [Cosa vuoi dire?]
- [Il mondo di Buyo è complicato. Proprio perché è un mondo magico. Tu non sei nato qui, Liho. Sei nato nel mondo degli elfi, così come io sono nata nel mondo delle streghe e le ninfe, sono nate in un mondo che apparteneva solo a loro.]
- [E cosa è successo?]
- [Vedi Liho, chi ha creato tutti questi mondi, come anche il mondo degli umani, è stato uno solo. Uno solo ha dato vita a tutti noi, elfi, fate, ninfe, maghi, sirene, umani, e così via. Ha creato i nostri mondi e per lungo tempo ci ha fatto vivere tutti separati, ognuno con la propria stirpe, e ognuno con le proprie regole di vita. Come ad esempio, le ninfe. Creature di sesso solo femminile, che possono rigenerarsi stando a contatto con la natura e che diventano parte di essa al termine della loro longeva esistenza. Oppure le sirene, creature dotate di coda di pesce, che possono sopravvivere solo se bagnate dall’acqua del mare. Noi streghe, dotate di poteri magici, curativi e talvolta distruttivi, che dobbiamo usare con molta sapienza. Gli umani, coloro che si limitano ad usare il cuore nelle proprie scelte e che devono lottare per vivere al meglio la loro breve vita. Siamo tutti diversi e tutti noi abbiamo diverse regole esistenziali.]
- [E’ tutto così vago. Chi è questo essere che ha creato tutto ciò?]
- [Nessuno lo sa. E’ un’entità suprema. E’ uno spirito che vaga in ogni luogo. Nessuno lo ha mai visto, nessuno mai potrà vederlo, ma tutti sanno della sua esistenza. E’ un istinto naturale.]
- [Tutti?]
- [Esatto. Chiunque vedi a Buyo, è concio dell’esistenza di questo spirito supremo, che ci ha creati. Solo l’uomo vacilla a tal pensiero. Alcuni esseri umani ci credono, altri dicono di crederci, ma non con il cuore e altri invece ammettono di non crederci affatto.]
- [Stai parlando per caso di Dio?]
- [Dio, sì. O almeno così lo nominano gli esseri umani. Coloro che dicono di credere in questa entità, che le danno persino un nome, ma che non sanno minimamente ciò che dicono e ciò che fanno e così peccano. Per questo gli esseri umani non sanno dell’esistenza di Buyo. E qui nessuno di loro potrà mai vivere.]
- [Ma perché? E voi perché siete qui, se vivevate in mondi diversi?]
- [Come ti ho detto prima, Liho, noi tutti siamo creature che per istinto credono fermamente in questo essere supremo che ci ha dato vita. A differenza delle creature che abitano la terra, schiave dei loro pensieri egoistici. Per questo noi creature differenti, siamo state radunate tutte in un unico mondo, Buyo, premiate dal fatto che siamo immuni all’egoismo, all’egocentrismo, alla voglia di dominare gli altri, al desiderio di fare del male, alla sete di potere. Siamo creature semplici, che vivono la loro vita a beneficio proprio e degli altri. Anche tu sei così, Liho.]
- [Io? Sono una creatura che può fare parte di questo mondo anche io?]
- [Certamente. Sei un elfo. Appartieni inoltre alla più nobile delle stirpi elfiche…]
- [Sì, me lo hai già detto, i Morlah.]
- [Hai un’ottima memoria.] sorrise la maga.
- [Adesso, finalmente, ci sono cose che appaiono più chiare. Ma ancora molte domande turbano i miei pensieri.]
- [Lo so, Liho. Ma ogni risposta arriverà al momento più opportuno, vedrai.]
- [Mi fido di te, PeroPoroGusha.]
- [Fidati solo del tuo cuore, Liho.] rispose dolcemente. [Ed ora, è giunto il momento che io ti mostri una cosa.]
- [Che cosa?]
- [Lo sai bene anche tu di cosa si tratta. Rammenta che questo è il tuo sogno e tu vuoi che io esaudisca un tuo desiderio che tieni nascosto da quando ti ho raccontato la storia di Buyo, nel mondo degli umani.]
- [Allora, tu…]
- [Esaudirò questo tuo desiderio.]

In piedi davanti a me, con la sua aurea azzurra, i capelli e l’abito celesti, gli occhi grigi e le lunghissime unghie blu, alzò lo sguardo al cielo stellato e portò le braccia tese verso l’alto. Un forte vento cominciò a soffiare in modo circolare attorno a lei e attorno a me. Rimasi sbalordito, osservandomi attorno. Stavo volando, sollevato dal vento che veloce mi soffiava attorno al corpo. In pochi istanti, mi ritrovai assieme a PeroPoroGusha, seduto su una nuvoletta.

- [Che te ne pare del viaggio?] chiese la maga, ancora parlandomi col pensiero.
- [Viaggio? Quale viaggio?]
- [Prova a guardare giù.]

E così feci, vedendo che sotto milioni di metri da me, c’era un’enorme macchia blu scura dalla forma irregolare.

- Liho! – sentii rimbombare una voce femminile nello spazio attorno a me.
- Liho? Sei davvero tu? – ora prese forma una voce maschile.
- Ma chi….? – mi guardai attorno ma non riuscivo a capire chi fosse, allora PeroPoroGusha indicò davanti a noi.

Due stelle che, viste da vicino, sembravano grandi come una casa, erano munite di occhi, naso e bocca.

- Liho, figlio caro… - la stella femminile versò alcune lacrime.
- E’ una gioia rivederti. Sei cresciuto molto e sei davvero bello. – disse la stella maschile.
- Padre, Madre.. siete davvero voi? – chiesi, incredulo.
- Sì, tesoro. Ci sei mancato molto. – rispose mia madre.
- Allora è vero che siete diventati delle stelle. – dissi, cominciando a convincermi.
- Esatto, figliolo. Quando eravamo ancora a Buyo, io e tua madre siamo stati eletti regnanti, poco dopo il tuo concepimento. Avevi appena un anno piccolo mio. Non sapevi ancora camminare, né parlare.
- Un anno? – mi sorpresi. – Ma a un anno non si è poi così piccoli!
- Ricorda che non siamo nel mondo degli umani, Liho. – rispose PeroPoroGusha, seduta accanto a me. – Qui gli anni trascorrono in modo diverso da come sei abituato tu. Ogni anno per noi, equivalgono a due mesi di vita umana.
- Esatto. Eri ancora molto piccolo, tesoro mio. – disse mia madre.
- Solo due mesi? Avevo solo due mesi di vita umana? – domandai, perplesso.
- Ancora devi imparare molte cose che riguardano Buyo, ma non temere figliolo, piano piano imparerai.
- Tuo padre ha ragione. Sei stato lontano da questo mondo da tutta una vita. Sei come un neonato che deve muovere i suoi primi passi. Ma non temere, PeroPoroGusha sarà al tuo fianco, come è sempre stata, dopo che noi siamo divenuti puntini dorati nell’universo.
- Madre… è bello essere qui ora. – risposi. – Padre… potrò mai tornare a trovarvi? – chiesi.
- Figliolo, purtroppo non sta a noi decidere. Solo tu potrai. Questo è un tuo sogno. Di conseguenza, è stato un tuo desiderio e se sei qui è perché lo ha voluto tu.
- Quindi, solo nei miei sogni potrò rivedervi e parlare ancora con voi?
- Purtroppo sì, tesoro. – rispose mia madre. – Solo attraverso i sogni, a Buya, è possibile realizzare i propri desideri.
- Capisco. Ebbene, appena il mio cuore si troverà nuovamente a voler corrispondere i desideri della mia mente, vi rivedrò ancora. Sono contento di avervi conosciuto. – dissi, commosso e pieno di affetto.
- Puoi abbracciarli se vuoi. – mi rivelò PeroPoroGusha.
- Posso? – chiesi stupito. – Ma le stelle non emanano calore? E se mi brucio?
- Qui tu puoi fare tutto. Te l’ho detto, no? Nei sogni la realtà viene modificata a tuo piacimento. – rispose la maga.

Sorrisi felice e, senza pensare ancora, scesi dalla nuvola per avvolgermi dell’abbraccio caldo e spugnoso di mia madre e mio padre. Almeno, sentii questo effetto sulla pelle.

Aprii gli occhi, guardandomi attorno. Ero sdraiato sull’erba, o meglio, su un largo mantello depositato sull’erba, col volto rivolto verso il cielo stellato. La luna parve sorridermi per un istante, ma sbattei forte le palpebre e ogni immaginazione svanì. Sentivo il petto pesante e guardai in quella direzione. Mana dormiva accanto a me, con la testa su un lato del mio petto. Sorrideva beata, quindi non la svegliai e rimasi sdraiato a terra, ad osservare il cielo e le stelle al fianco della luna : mio padre e mia madre. Sorrisi e un brillìo vivace emisero quelle due stelle. Capii che avevano visto il mio sorriso e mi stavano rispondendo.




...Continua...


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05/01/2007 18:23






La guerra dell’elfo

- Kanju, sei pronto a partire? – chiese l’elfo del Sud.
- Luaah! Non disturbarmi mentre mi alleno! – rispose il fratello.
- Kanju, Luaah, allora dovete proprio partire? – chiese la piccola elfa, sorella minore dei due menzionati.
- Vanya, non preoccuparti per noi. – rispose Luaah, poggiando sul proprio petto la testa della sorella, accarezzandola.
- Luaah, smetti di coccolarla sempre. Se è viziata la colpa è solo tua! – lo incalzò Kanju, il maggiore.
- Io non sono viziata! – si difese Vanya.
- Non abbiamo tempo da perdere. Dobbiamo andare. – disse Kanju ignorando la sorella e rinfoderando la spada.

I due partirono al galoppo poco dopo, muniti due archi con relative faretre e le spade alla cintola.
Erano diretti alla Valle delle Ninfe, dove era ospite Liho. Ignari dell’esistenza di costui, i due elfi del sud erano pronti a battersi nella più grande guerra esistente, come vuole la leggenda di Buyo, per poter essere incoronati e riportare la luce del giorno regolarmente ogni cento anni.

- Liho, vieni! – mi fece gesto con la mano Mana per raggiungerla. Era affacciata a un contorno di enormi massi.
- Eccomi, eccomi. – la raggiunsi. – Ma non è pericoloso se ti sporgi troppo? – chiesi.
- Ti preoccupi per me? – mi guardò incredula.
- Beh… io … - mi accorsi per la prima volta di aver mutato carattere. Ero molto meno duro con lei.
- Sei gentile, grazie, ma non devi preoccuparti. Guarda. – indicò un punto sotto l’acqua.

Vidi la sagoma di una sirena nuotare verso di noi. Osservai con occhi sgranati. Pensai si trattasse di una sirena, perché aveva la coda di pesce, ma il busto simile a quello di una ragazza umana. Non ne avevo mai vista una.

- Liho, guarda, che bello! – esclamò Mana estasiata, quando la sirena emerse con un guizzo per poi rientrare in acqua, proprio come fanno i pesci quando giocano.
- Caspita! Che brava. – ammirai. Sembrava davvero un pesce, se non fosse che la metà del suo corpo era perfettamente simile al corpo della donna umana, a parte per le orecchie, simili ad archi squamosi e le dita unite da spessa cartilagine, ed era dotata di una lunga chioma dorata e lucente.
- E’ felice. – mi disse Mana, osservando il punto dell’acqua da cui era emersa la sirena. – Ha capito chi sei, ed è al corrente del motivo che ti porta qui.
- Già. Tutti voi lo siete. Mentre io…. – non terminai la frase e guardai lontano, all’orizzonte.
- Liho… - Mana mi prese una mano e l’accarezzò, guardandomi malinconica. – Non temere. Ci sono io qui a sostenerti. Sono sicura che presto capirai.
- Grazie Mana. – le sorrisi, forse per la prima volta, dopo tanti anni, riuscii a sorridere a qualcuno e si trattava di Mana, non di Shuta che ormai era scomparso, assieme al mondo degli esseri umani. E una domanda mi giunse spontanea. – Ma voi ninfe potere innamorarvi? Potete sposarvi e avere dei figli?
- Come? – Mana parve sorpresa. Poi, mi sorrise dolcemente. – Non tutte possono procreare. – rispose, abbassando lo sguardo e tornando a portarlo in direzione del mare.
- Ah, no? Come mai? – chiesi, curioso di conoscere le leggi del mondo delle ninfe.
- Solo Utahe può far nascere altre creature simili a noi. Lei ha il dono. Noi ninfe di Buyo siamo tutte figlie sue. Solo quando la sua esistenza terminerà, prima di congiungersi alla natura per sempre, deciderà chi, tra noi, potrà essere in grado di procreare e diventare così la nuova Ninfa Madre.
- Quindi per ora solo Utahe ha questo potere?
- Sì. Per il momento lei è l’unica in grado di dare vita a nuove ninfe.
- E come avviene questo processo? – chiesi, curioso di sapere come le ninfe potessero far nascere altre ninfe.
- Per la verità non l’ho mai visto, essendo stata l’ultima delle ninfe nata grazie a Utahe. Però, so che deve accadere in un luogo bagnato dalla rugiada, illuminato interamente dalla luna e la Ninfa Madre deve scegliere un punto preciso del luogo, disporre alcune foglie fresche in cerchio, portarsi all’interno e calarsi in una danza evocatrice, senza mai uscire dal cerchio, fino a che una nuova ninfa brillerà di luce dinanzi a lei e le dovrà dare un nome.
- Dev’essere una sensazione bellissima assistere a questo momento. – risposi, affascinato dal racconto. – E il tuo nome, Mana, ha un qualche significato?
- Si. Ogni nome che possediamo ha un significato. Utahe è il nome che noi ninfe usiamo per indicare la fertilità. Utahe, infatti, nacque poco prima che la Ninfa Madre prima di lei, potesse esaurire la sua esistenza vitale. La chiamò Utahe, per ricordarsi della sua ultima creatura. Il mio nome, invece, è stato scelto più per te, che per me.
- Cosa vuoi dire? – domandai, senza capire.
- Mana per noi ninfe è la guerra.
- La guerra? – mi stupii.
- Esatto. Sono stata creata per il leggendario elfo del Sud, che avrebbe riportato la luce del giorno in questo mondo.
- Sei nata per me? Perché? Non ha senso.
- Ancora non sai… - disse, sospirando, mantenendo però il suo dolce sorriso. – Se sono nata, c’è un senso ben preciso, Liho.
- Ti prego, Mana, spiegami la leggenda in cosa consiste. – supplicai, quasi.
- Mana! – la chiamò una voce proveniente alle mie spalle. Mi voltai e vidi materializzarsi la figura di Utahe.
- Utahe… - Mana si alzò e andò a lei incontro.
- Liho, conosco bene il vostro desiderio di conoscenza, ma Mana è qui per volere mio. Se avete delle domande da porre, potete rivolgervi a me. Voi sapete come. – mi rimproverò, ma con garbo.
- Si, certo, chiedo scusa. – dissi, rammaricato.
- Liho, venite con me. – mi invitò Utahe a seguirla. – Mana, puoi restare a giocare con le sirene se vuoi.
- Certo, Utahe. Grazie. – Mana sorrise, salutando con un cenno le nostre due figure voltate di spalle, allontanarsi.

Ormai inoltrati nella foresta di Buyo, Utahe prese a parlare assieme a me, nei pensieri della mia mente. Mi stava spigando per filo e per segno il metodo che eseguiva ogni volta che faceva nascere una nuova ninfa, fino a che non giungemmo alla cascata che vidi anche il giorno precedente, poco dopo che ero arrivato a Buyo.

- [Liho, il vostro nome significa Eletto in lingua elfica. Voi siete per certo colui che ci riporterà agli antichi splendori, donandoci il giorno che non c’è. Questa è la leggenda che tanto bramate di conoscere.]
- [Utahe, potresti spiegarmi meglio?]
- [La leggenda di Buyo parla di voi da antichissimo tempo. Un elfo del Sud ci avrebbe riportate il giorno che, a causa di un desiderio malefico, ci sarebbe stato tolto.]
- [Ma come è possibile che sia proprio io quell’elfo?]
- [Al momento in cui il giorno sorgerà a Buyo, dopo mille anni, apparirà un segno sulla schiena dell’eletto, a contatto con la luce del sole. Questo segno dovrà raffigurare un drago rosso, dalla criniera infuocata sulla testa.]
- [Un drago? Perché un drago?]
- [Esatto, Liho. Un drago rosso dalla criniera infuocata. Vi apparirà sulla schiena e prenderà forma davanti a voi. Farà il possibile per uccidervi e per impedirvi nell’impresa di far splendere il giorno a Buyo ogni cento anni.]
- [Cosa mi stai dicendo?]
- [Vi sto dicendo che dovrete combattere e dovrete vincere contro il drago dalla criniera di fuoco.]
- [Ma questo è impossibile Utahe! Como posso combattere contro un drago e sconfiggerlo?] chiesi, incredulo.
- [Siete l’eletto, Liho. Solo voi potrete farcela.]
- [Ma in che modo? Aiutami a capire. Sto impazzendo!]
- [Sacrificando l’esistenza di Mana.] rispose pacata la ninfa.



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