Alla fine restano gli occhi di Kyoko, la sua espressione perplessa, e la schiena di Jiro, seduto al tavolo di lavoro fino a notte fonda per finire le sue illustrazioni; resta la finestra aperta su Tokyo, le strade grigie, le fronde in fiore degli alberi di ciliegio, e restano i dolori di una giovane coppia.
«L’età della convivenza» (j-pop, 18 euro, 710 pagine; tre volumi) di Kazuo Kamimura, già autore del manga cult«Lady Snowblood», è una storia d’amore tra due ventenni immersi nella loro quotidianità e condannati a soffrire. Li seguiamo giorno per giorno, mentre affrontano le difficoltà del vivere insieme. C’è il sesso: sporco, improvvisato, goffo; sudato, urlato e tenero. E c’è una certa indolenza per le regole di un Giappone ancora troppo tradizionalista, che si avvia, all’alba degli anni Settanta, a cambiare profondamente.
Il disegno di Kamimura, che risponde a una certa tradizione del manga giapponese, si mantiene sempre semplice e fluido, ispessendosi – e quindi appesantendosi – solo per rimarcare tratti particolari, o dare più forza a visi o a espressioni. I due protagonisti, Kyoko e Jiro, sono facce della stessa medaglia: lei più matura, impiegata presso un’agenzia pubblicitaria (come Kamimura in gioventù); lui, invece, libero professionista, molto più incerto, ancora legato alla sua vecchia vita da scapolo, bevitore accanito e disegnatore instancabile (anche qui, come Kamimura).
Il bianco e nero delle tavole, l’alternarsi dei profili dei grattacieli della città, i ritratti morbidi e puntuali, e il grigiore di alcune inquadrature rendono piuttosto chiaramente, e con una certa precisione, la limitatezza e, allo stesso tempo, l’incertezza del mondo in cui Kyoko e Jiro vivono. Non c’è un futuro possibile, non c’è una felicità promessa, e non c’è nemmeno una soluzione per ogni problema.
Kamimura riesce a raccontare con uno stupefacente realismo anche quella che è la condizione della donna giapponese (allora, certo, ma anche oggi): un’idea quasi arcaica di famiglia patriarcale, i soprusi e gli abusi nelle metropolitane affollate; la paura di avere un figlio, il terrore di non riuscire a sposarsi, l’incertezza di non farcela. Kyoko, in questo senso, è il prototipo della ragazza giapponese di quegli anni: giovane, desiderosa di una certa indipendenza, e ciononostante condannata a una vita fatta di rinunce più che di affermazioni.
Kamimura non prova nemmeno a dare un senso a tutto quello che succede, agli orrori, alla mostruosità della strada (incesti, assassini, problemi coniugali; sofferenze, morti violente, bugie). Prova, invece, a rappresentare Tokyo e il Giappone per quello che sono: corrotte, sporche, dimenticabili; ma anche piene di vita, di giovani e di novità.
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