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Paul Horner, il re delle fake news: «Invento bufale e ci guadagno»

Ultimo Aggiornamento: 09/04/2018 13:55
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Grado Massimo!
13/10/2017 20:16

Paul Horner guadagnava (perchè è morto) diecimila dollari al mese con le notizie false...

Lei è spesso il soggetto delle sue storie.
«In realtà la prima notizia falsa che ho scritto, e parliamo di cinque anni fa, riguardava un tale dell’Idaho, Josh Lahti, che vinceva la lotteria: l’avevo tratteggiato come un uomo terribile, un ex galeotto che picchiava la moglie e la costringeva a scappare di casa con metà del bottino. Gli diedi il mio volto per le interviste televisive e le foto. Diventò virale subito: milioni di contatti in poche ore».

Prima di allora era uno smanettone di internet che saltellava da un lavoretto all’altro.
«Finita l’università ho lavorato in un’azienda di web design e poi in una società di mutui ma ho sempre avuto una grande passione per la scrittura. Scrivo storie di fantapolitica fin da quando ero bambino... Poi certo, quando ho capito che con le pubblicità di Google potevo guadagnare cinque volte il denaro che prendevo con fatica con i miei impieghi offline, mi sono detto che doveva diventare un lavoro. Ho sempre amato il giornalismo».

Il giornalismo?
«Sì, certo. I ragazzi che collaborano con me devono innanzitutto sapere come funzionano l’informazione e la politica americana, poi occorre anche avere senso dell’umorismo e abilità nel costruire storie ma, prima di ogni altra cosa, devono sapere di che cosa si parla».

Cioè ci sta dicendo che per creare notizie false bisogna conoscere la «verità»?
«Esatto. Le storie false, per catturare davvero l’attenzione dei lettori, devono essere verosimili. Se scrivi cose totalmente lontane dalla realtà o che non hanno elementi di verità rischi di fare flop. Certo Donald Trump ha cambiato le cose... ».

In che senso?
«Trump crede che il cambiamento climatico sia una bufala. È totalmente imprevedibile nelle cose che dice e pensa e quindi è difficilissimo fare satira o costruire fake news su di lui perché lui stesso è una fake news. Voglio dire, è diventato un mio competitor!».

È il presidente eletto. Lei dice di aver contribuito alla sua elezione. Può spiegarci in che modo?
«Beh, tutte quelle storie che ho creato e diffuso venivano condivise dai suoi supporter, ma ho fatto un enorme errore di valutazione».

Cioè?
«Io credevo che quelle notizie l’avrebbero danneggiato e invece è successo il contrario. Ad esempio, quando ho scritto che gli Amish erano diventati suoi supporter, l’ho fatto per ridicolizzarlo, speravo che leggendo queste cose le persone pensassero che era una follia votare per lui».

E invece?
«E invece i suoi supporter si limitavano a leggere il titolo e il sommario e, così facendo, hanno finito con il dare a quelle notizie il significato che volevano. Il punto è che quando leggi un mio articolo, vedi che, al di là del titolo e del primo paragrafo, più vai avanti e più la storia diventa ridicola e paradossale. Sono articoli di satira, ma sono stati usati per altri scopi».

Dunque sta dicendo che tutto questo nasce da un problema di sopravvalutazione dei lettori. In passato ha detto il contrario, cioè che internet adesso è molto peggio di cinque anni fa, che i lettori non capiscono.
«È vero. Le persone leggono qualsiasi cosa che confermi le loro idee senza farsi domande e così diventano ancora più stupide».

Come si sente quando pensa di fare parte di quella categoria di persone che lavorano, come dice lei, sulla stupidità umana?
«Il 95% di quello che i media chiamano fake news è immondizia. E io non c’entro nulla con quella roba. Io sono fiero di tutto ciò che ho scritto e pubblicato online: ogni singola parola. Ho un obiettivo nel mio lavoro, e condanno le teorie cospirazioniste, le bufale cattive, misogine, razziste. Potrei guadagnare centomila dollari in una settimana se lavorassi a una bufala sull’assassinio di Paul McCartney: scommettiamo quello che vuole che diventerebbe virale in poche ore. Ma non lo faccio, e sa perché? Perché mi interessa scrivere storie per migliorare la società. Io intervengo dove vedo quello che non mi piace, sottolineo le storture della società, i nostri difetti. Ad esempio, una delle cose di cui vado più fiero è il tormentone dell’attore Bill Murray che partecipa alle feste degli sconosciuti. Tutto è cominciato perché qualcuno aveva postato una foto di Murray a una festa di laurea. Mi sono detto: ma è fantastico, deve diventare un “imbucato” professionista! Così ho iniziato a diffondere le immagini dell’attore che piomba in diverse situazioni di festa. Dopo pochi giorni c’erano miliardi di foto di Bill Murray ai compleanni in Asia, Africa, Oceania. Ho saputo che un produttore importante di Hollywood voleva farci un documentario. Se legge i miei articoli, può vedere che inserisco sempre dei link. Alcuni sono per promuovere le cose che fanno i miei amici e parenti ma, soprattutto, cerco di diffondere la mia organizzazione di beneficenza ».

Fa beneficenza?
«Sì, raccolgo calzini da dare agli homeless. Per favore lo scriva. Il sito è questo: sockitforward. com».

I colossi tecnologici come Google e Facebook, che sono i responsabili principali della diffusione di notizie false, promettono di risolvere il problema e hanno annunciato restrizioni pesanti. Lei ci crede?
«Posso dirle che sta già succedendo qualcosa. Ho diversi amici che lavorano nel settore e mi dicono che nelle ultime settimane molti account sono stati “bannati”, alcuni siti sono stati chiusi, contenuti rimossi e cose così».

E intanto come si fa a difendersi dai tipi come lei?Ci dia qualche consiglio.
«Innanzitutto bisogna controllare bene la url di un sito perché, anche se il nome suona familiare, magari c’è anche solo una parola diversa e allora vuol dire che non c’entra nulla con la testata che credevamo fosse. Dopodiché, bisogna fare sempre fact checking della storia. Il modo migliore è scrivere il titolo su Google e vedere chi altro l’ha postato, quali sono le fonti. Certo anche lì bisogna fare attenzione: ad esempio, in America c’è un sito, snopes.com, che dichiara di verificare la veridicità delle notizie ma non è così, anzi sono i primi a diffondere notizie false. Hanno scritto che se vieni sui miei siti ti becchi virus distruttivi, ma lo dicono solo perché li abbiamo presi in giro in un paio di articoli».

Dunque quelli che dicono di lavorare per la verità in realtà mentono?
«Esatto. È tutto così, adesso»

fonte



Su internet ormai ci si trova di tutto... e chissà quanto c'è di vero...
Le grandi aziende pubblicitarie dovrebbero fare qualcosa di più di quello che fino ad ora hanno fatto per evitare cose simili... tipo bandire totalmente dei siti che fanno solo fakenews o che sono stati fatti apposta.. tipo quei siti il cui dominio è similissimo ad uno famoso ma cambia solo per una lettera..
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Grado Massimo!
14/10/2017 12:32

Mi piace molto questa frase, emblematica del fenomeno delle fake news:


i suoi supporter si limitavano a leggere il titolo e il sommario e, così facendo, hanno finito con il dare a quelle notizie il significato che volevano.



Il problema vero non sono solo le fake news, ma tutte quelle persone che si soffermano al titolo e al sommario di poche parole. Quante notizie ho trovato che dal titolo dicevano una cosa che poi nella realtà era totalmente l'opposto.

Il fatto che le fake news siano così "famose" è che ci limitiamo al loro titolo e facciamo subito giudizi e prendiamo tutto per oro colato, quando poi la realtà è ben diversa.
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Grado 6
09/04/2018 13:55

Non siamo progettati per riconoscere al volo le bufale: il nostro cervello cioè, non utilizza sempre tutte le informazioni in suo possesso per distinguere la verità da una menzogna. Ve lo dimostriamo con un quiz:

quanti animali per ogni specie ha caricato Mosè sull’Arca?

Avete risposto "2"? Sicuri? Rileggete bene la domanda... E non preoccupatevi: le persone che si accorgono dello scambio tra Noè e Mosè sono pochissime, al punto che gli psicologi hanno battezzato questo fenomeno "Illusione di Mosè".

 

Diversi studi di psicologia cognitiva dimostrano che siamo naturalmente portati a non verificare ciò che leggiamo, nemmeno confrontandolo inconsciamente con ciò che sappiamo. E questo comportamento, nell'epoca delle fake news, può diventare decisamente pericoloso.

 

BOCCALONI INCONSAPEVOLI. Uno studio condotto da Lisa Fazio, docente di psicologia alla Vanderbilt University, lo dimostra ampiamente. La ricercatrice ha chiesto a un gruppo di volontari di rispondere a una serie di domande sullo spazio.
Due settimane dopo ha sottoposto al campione un racconto di fantasia contenente sia informazioni vere sia false su cosmo e astrofisica.


In uno dei passaggi, per esempio, il giovane protagonista della storia spiega ai suoi amici di aver trovato lavoro al planetario della sua città. Dovrà vestire una tuta spaziale e impersonare Neil Armstrong, il primo uomo ad aver messo piede sulla Luna (vero). Dovrà guidare il pubblico in un viaggio immaginario verso Saturno, il più grande pianeta del Sistema Solare (falso).

Al termine della lettura i ricercatori hanno somministrato ai partecipanti all’esperimento lo stesso questionario di due settimane prima arricchito con nuove domande di cultura generale.

Molti partecipanti al test hanno dato risposte errate, fuorviati dal contenuto del racconto, anche alle stesse domande a cui avevano risposto correttamente la prima volta.

NON CREDERCI. Si può evitare di abboccare alle bufale? Sì a patto di essere dei veri esperti della materia. Se non lo si è, i ricercatori suggeriscono come unica arma di difesa il fact checking professionale: mettere cioè in discussione tutto ciò che non si conosce con sicurezza e verificarlo in maniera puntuale con l’aiuto di fonti affidabili.


Ma perché siamo così boccaloni? Secondo gli scienziati è un comportamento innato: siamo portati a credere a tutto perché in fondo la maggior parte delle informazioni che leggiamo o ascoltiamo sono vere. Diversi studi lo confermano: generalmente elaboriamo ogni informazione che proviene dall’esterno come se fosse vera, e solo con uno sforzo cognitivo ulteriore la classifichiamo eventualmente come falsa.

VERO O VEROSIMILE? In secondo luogo tendiamo ad accettare senza farci troppe domande le informazioni che sono abbastanza vicine alla verità. In una normale conversazione ci sono frequenti errori, pause e ripetizioni (“Quella donna indossa un abito blu, anzi no... nero, è un abito nero”) e per non perdere il filo accettiamo tutte le informazioni abbastanza verosimili.

La conclusione della Fazio e dei suoi collaboratori è che combattere le fake news e la loro diffusione richiede un grande sforzo, perché significa cambiare dei processi cognitivi innati. Lo spirito critico, da solo, non basta: occorre affidarsi ad esperti che possano garantire la qualità e la bontà delle informazioni che leggiamo. Soprattutto sui social network e “in giro per la rete”.

La stessa Facebook sta avviando in Francia un progetto pilota di fact checking con la collaborazione di AFP, una delle più grandi agenzie di stampa al mondo. Gli esperti di AFP valuteranno le foto e i video pubblicati su Facebook con l’obiettivo di smascherare bufale e tarocchi in grado di influenzare la percezione delle notizie da parte dell’opinione pubblica.






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Grado 6
09/04/2018 13:55

per la cronaca.. io ho sbagliato la domanda del piccolo quiz [SM=g27813]



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