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Il metodo Giappone per la prevenzione: terremoto

Ultimo Aggiornamento: 04/01/2024 07:17
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29/08/2016 22:46

Che ci sia la normativa, bene... ma non c'è una legge
che impone che gli edifici vengano costruiti a prova di terremoto? per lo meno in luoghi a rischio sismico...

Ma quando voi progettate, la verifica sismica la fate indipendentemente dall'uso di materiali antisismici o no? cioè, mi spiego meglio, anche se siete a rischio sismico pari a 0, i vostri progetti sono studiati anche per resistere ai terremoti oppure progettate senza tecniche d'avanguardia in materia e verificate lo stesso con un programma la "solidità" di quello che verrebbe fuori anche senza che il tutto sia studiato proprio per i terremoti?
(non sono se mi sono spiegata... e poi io sono ignorante in materia) [SM=g5029792] sono solo domande per capire non certo per mettere in discussione come lavorate [SM=x132396]

vi lascio un altro articolo:

In un Paese ad alto rischio sismico come il Giappone, dove il terremoto non è un’eventualità ma una realtà con cui confrontarsi, sapere — anche appena qualche secondo prima — che la scossa sta arrivando può fare la differenza tra la vita e la morte. Rallentare un treno in corsa o avvisare i bambini a scuola di mettersi al riparo contribuiscono a quella politica di contenimento del danno su cui è fondato il «modello Giappone».

Allarme scossa
Dal 2007 l’Agenzia meteorologica giapponese (Jma) ha messo in piedi un sistema di diffusione capillare dell’Early Warning sui terremoti: sensori piazzati il più vicino possibile all’epicentro, forniscono la stima dell’intensità del fenomeno e la previsione di arrivo dell’onda sismica, e l’allerta scatta per terremoti dal quinto grado della scala Mercalli, con avvisi acustici tramite la tv pubblica, la radio, in strada. L’avviso di mettersi in salvo è diramato ora anche dalla popolare app per cellulari Yurekuru, con l’icona di un pesce gatto, cui la tradizione giapponese lega la genesi dei terremoti. E il sistema è così diffuso che se si verifica un falso allarme il Paese di ferma per alcuni minuti. Come è successo il primo agosto: l’allerta, per un terremoto catastrofico a Tokyo, era stata lanciata e ritirata subito dopo dalla Jma, ma l’avviso via app era già partito.
Pochi secondi per mettersi in salvo
«Parliamo di un preavviso di pochi secondi, 10 o 15. Ma sufficienti in alcuni casi per salvare delle vite», osserva Alessandro Amato, sismologo dell’Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia. È un sistema sui cui il Paese del Sol Levante continua ad investire. «Dopo il terremoto dell’11 marzo 2011 - spiega Amato - il Giappone ha stanziato miliardi di dollari per costruire un cordone sottomarino di sensori, stendendo 5.800 chilometri di cavi nel Pacifico, con circa 150 sismometri e sensori di pressione sul fondo del mare», per anticipare il più possibile l’impulso.

Bimbi al riparo a scuola in 5 secondi
Ma l’allerta rapida — dice il professor Aldo Zollo, ordinario di sismologia all’Università Federico II di Napoli — è una metodologia efficace anche in caso di terremoti in piena terraferma, che quindi lasciano un tempo di preavviso più breve: «È utile per far scattare delle risposte automatiche, come bloccare una centrale nucleare o fermare il trasporto in un’industria chimica». Non solo: «I colleghi giapponesi hanno calcolato che il tempo necessario ad un bambino per rifugiarsi sotto a un banco è di 4-5 secondi. In Giappone, perfino i banchi scolastici sono pensati per queste evenienze e la popolazione scolastica è ben addestrata». L’educazione ad affrontare il possibile disastro è diffusa e capillare. Una grande esercitazione, cui partecipano centinaia di migliaia di persone si svolge ogni anno il primo settembre, anniversario del grande terremoto del 1923 nella regione di Kanto in cui morirono più di 100.000 persone.
Utile anche in Italia
Potrebbe funzionare anche per l’Italia? «Esiste una zona cieca in cui l’allarme è inefficace perché arriverebbe in contemporanea alle onde del terremoto. Ma – spiega il docente - all’Aquila del 2009 i danni più importanti sono stati osservati entro un raggio di 40-50 km dall’epicentro del terremoto e nel caso del più forte sisma dell’Irpinia del 1980 nel raggio di circa 100 km. C’è quindi un’ampia area dove l’allerta potrebbe essere utile a far scattare degli automatismi in ambito sanitario, nei trasporti o nell’erogazione di energia elettrica e gas per la prevenzione di incendi». Ma in Italia Early Warming è ancora nel dominio della ricerca, spiega il professore. L’Europa ha finanziato nell’ultimo decennio due progetti nelle principali zone sismiche dell’area Euro-Mediterranea. Nell’ambito di questi progetti è stato implementato in Italia Meridionale un prototipo chiamato PRESTo, sviluppato dai ricercatori del laboratorio di Sismologia del dipartimento di Fisica dell’Università di Napoli. E l’Ingv, in collaborazione con l’Ispra e la Protezione civile, ha predisposto un sistema di allerta tsunami per il Mediterraneo. Ovviamente, sottolinea Zollo, «come ci dimostra il Giappone, il sistema di allarme non sostituisce la messa in sicurezza degli edifici, ma ne è complementare. E poi ci sarebbe un altro aspetto da considerare: nel caso di mancato o procurato allarme cosa succederebbe?».

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